Cloud e lavoro a distanza guidano la resilienza digitale

Quali sono le preoccupazioni, le sfide e le priorità tecnologiche delle organizzazioni nell’era post-pandemica? Risponde la ricerca di A10 Networks, Enterprise Perspectives 2022, condotta da Opinion Matters su 2.425 professionisti senior di applicazioni e reti di dieci aree geografiche, tra cui l’Italia. L’aumento del traffico di rete ha aggravato le sfide che le organizzazioni si trovano ad affrontare: l’86% delle organizzazioni italiane e francesi registra un aumento dei volumi del traffico di rete negli ultimi 12 mesi. Aumento che nei due Paesi è risultato leggermente superiore (53%) alla media mondiale (47%). Quanto al futuro ambiente di rete, il 79% delle organizzazioni italiane e francesi dichiara che sarà basato sul cloud, con il 26% che indica il cloud privato come ambiente preferito. Tuttavia, le organizzazioni italiane e francesi non sono rassicurate dai loro fornitori di servizi, con il 40% che dichiara che non riescono a soddisfare i loro SLA.

Le minacce informatiche sono in aumento

Delle 250 organizzazioni intervistate in Italia e Francia, il 95% mostra alti livelli di preoccupazione per gli aspetti della resilienza digitale aziendale. Inoltre, le aziende italiane e francesi sono estremamente preoccupate per gli accessi da remoto negli ambienti ibridi, dimostrando elevata consapevolezza sull’importanza di bilanciare sicurezza e accesso dei dipendenti alle applicazioni vitali dell’impresa. Rispetto ad altre aree, gli intervistati italiani e francesi sono più preoccupati per la perdita di dati e beni sensibili in caso di un attacco informatico. Altre preoccupazioni riguardano il ransomware, i potenziali tempi di inattività o di blocco in caso di attacco DDoS e l’impatto su marchio e reputazione.

Uno spostamento verso approcci Zero Trust

In risposta a queste preoccupazioni, la ricerca evidenzia uno spostamento verso approcci Zero Trust, con il 32% delle organizzazioni italiane e francesi che dichiara di aver già adottato un modello Zero Trust negli ultimi 12 mesi e il 13% che intende adottarlo nei prossimi 12. Sebbene si sia verificato un cambiamento infrastrutturale per supportare il lavoro distribuito da casa e da remoto, il 70% delle organizzazioni dell’Europa meridionale afferma che tutti o la maggior parte dei dipendenti lavoreranno in ufficio nel lungo periodo, rispetto a una media del 62% globale. Solo l’11% afferma che una minoranza o nessun dipendente lavorerà dall’ufficio. Un dato in contrasto con le previsioni del passaggio all’azienda perennemente ibrida, con i professionisti di applicazioni e reti che si aspettano il riaffermarsi della vecchia normalità.

Le priorità di investimento nelle tecnologie

In termini di priorità di investimento, le tecnologie blockchain sono indubbiamente diventate maggiorenni: il 37% delle organizzazioni italiane e francesi dichiara di averle implementate negli ultimi 12 mesi. Inoltre, il 36% dichiara di aver implementato tecnologie di deep observability e connected intelligence, oltre ad AI e machine learning. Guardando al futuro, è probabile che l’adozione di iniziative di cybersecurity aumenti, compresi i modelli Zero Trust. Ci si aspetta quindi un’implementazione più diffusa, man mano che le organizzazioni aziendali comprenderanno i vantaggi che ne derivano.

Dalla digital transformation alla digital coopetition: l’AI e le speedboat bank

Il processo verso cui stanno transitando le banche italiane ha come volano primario l’AI, che dalla digital transformation alla digital coopetition le condurrà verso le speedboat bank, la meta delle banche italiane. Al momento però sono pochi i clienti bancari che si ritengono soddisfatti dei servizi digitali della propria banca. Per l’implementazione di servizi finanziari innovativi, la quasi totalità dei clienti crede che l’AI potrebbe essere determinante, e più della metà considera importante la costruzione di ecosistemi di servizi in partnership con altre fintech, mentre per il 25% sarà decisiva la tokenizzazione degli asset finanziari. Sono alcuni risultati della ricerca Dalla digital transformation alla digital coopetition di Excellence Consulting.

Lanciare nuove banche digitali appoggiandosi su piattaforme innovative

Le banche tradizionali dopo un decennio di investimenti in digital transformation, soprattutto tramite applicazioni digitali che simulano processi analogici, sono spesso deluse dai risultati ottenuti. In Italia poi numerose banche condividono i loro sistemi di core banking gestiti da aziende consortili. La tendenza del top management è lanciare nuove banche digitali, puntando su applicazioni di core banking di nuova generazione con l’obiettivo di convertire gli attuali sistemi legacy. Queste banche negli Usa sono chiamate speedboat bank. La loro offerta, sviluppata inizialmente per servire una nicchia di clienti, successivamente potrà essere estesa a fette sempre più larghe di clientela, finché la nuova banca digitale diventerà l’organizzazione prevalente all’interno dell’organizzazione della banca tradizionale.

I clienti più giovani poco soddisfatti dai servizi digitali ricevuti

Sebbene il 56,6% degli intervistati affermi che le banche digitali abbiano raggiunto un buon livello di digitalizzazione, solamente il 20% degli over 30 e nessuno degli under 30 è pienamente soddisfatto dai servizi digitali ricevuti. C’è quindi un margine di crescita e intervento, in particolare circa la fascia di popolazione più giovane. Emerge quindi l’importanza dell’AI per tratteggiare le caratteristiche della banca digitale del terzo millennio. Il 92% degli intervistati reputa infatti l’AI determinante per l’implementazione di servizi finanziari innovativi. E per il 51% sarà molto importante che tali banche sappiano costruire modelli di offerta basati su ecosistemi di servizi che prevedano anche la partnership con altre fintech.

Chatbot e avatar proporranno soluzioni personalizzate

“Possiamo considerarci all’alba di una nuova fase di digitalizzazione dell’industria bancaria – dichiara Maurizio Primanni, ceo Excellence Consulting -. Abbiamo oramai superato la fase della digital transformation e stiamo entrando a pieno titolo in una nuova fase di mercato, che possiamo definire di digital coopetition, in cui operatori tradizionali e innovativi si confronteranno, ma spesso anche collaboreranno, per lo sviluppo di nuovi servizi finanziari digitali. L’utilizzazione sistematica delle tecniche di data science & analytics e dell’AI permetterà alle banche digitali di nuova generazione di superare il limite di un approccio commerciale troppo passivo, per potere proporsi alla loro clientela target in modo sempre più proattivo, con chatbot e avatar che proporranno ai clienti soluzioni personalizzate”.

Vino: Italia in fascia ‘popular’ per metà dell’export

È il segmento popular, quello da 3-6 euro al litro, il più presidiato dal vino tricolore nel mondo, con quasi la metà dei volumi esportati. Ed è seguito dal basic (fino a 3 euro), con il 28%, dal premuim (da 6-9 euro), con il 20%, e dal superpremium (da oltre 9 euro). In pratica, solo il 5% delle bottiglie di vino fermo italiano destinate all’export esce dalle cantine a più di 9 euro al litro, mentre il 75% non supera la soglia dei 6 euro. Un posizionamento più basso non solo rispetto a competitor come Nuova Zelanda, Francia e Australia, ma anche sulla media mondiale degli scambi. Lo rileva lo studio dell’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) realizzato in collaborazione con Vinitaly. 

Si può fare meglio

Secondo l’analisi, pur in un contesto di crescita generale del prezzo medio, l’Italia, seconda potenza mondiale del vino, presenta ampi margini di crescita. La dimostrazione è data dal posizionamento rispetto ai competitor del prodotto Made in Italy nei principali mercati internazionali.
Negli Stati Uniti solo il 26% dei nostri vini è in fascia premium o superpremium, poco più della metà rispetto ai vini neozelandesi (46%), e ancora meno rispetto la Francia, che domina con il 66% di premium o superpremium. Ma non è solo la Francia, dove pure i rossi piemontesi si posizionano sugli stessi livelli dei Bordeaux, a sottostimare la qualità italiana. Anche in Cina si può fare meglio: con il 21% di prodotto quotato oltre i 6 euro/litro, superiamo Spagna e Cile, ma rimaniamo lontani da Francia (38%), e Australia (76%).

Solo per i rossi toscani l’80% è premium 

Tutto ciò, nonostante il posizionamento dei rossi toscani, che nel segmento premium vedono l’80% delle proprie vendite, contro il 78% dei vini bordolesi e il 71% degli australiani. Tra gli altri grandi mercati, prezzi medio-bassi anche per gli ordini da Uk e Germania, dove 8 bottiglie su 10 appartengono ai segmenti basic o popular, mentre in Canada le fasce più ambite sono appannaggio di vini statunitensi e francesi. Va meglio in Giappone, dove siamo secondi solo alla Francia.
È quindi necessario fare tesoro sui casi di alto posizionamento di alcune denominazioni piemontesi e toscane, un modello replicabile per molte altre doc che ambiscono al segmento premium.


Sparkling, verso un lusso democratico

Grazie al prosecco il valore delle bollicine italiane è quasi quadruplicato negli ultimi 10 anni, superando nel 2020 la soglia dei 4 milioni di ettolitri. Un caso probabilmente unico tra i settori del Made in Italy che ora punta verso la sfida del ‘lusso democratico’. Quello di occupare progressivamente la fascia media è un grande merito della spumantistica nazionale, in quanto ha creato un segmento di mercato prima inesistente. La sfida dei prossimi anni sarà quella di provare a occupare anche la fascia premium, compresa tra 7 e 10 euro. A livello mondiale, infatti, solo il 13% delle vendite è in questo segmento, dove sono presenti per lo più champagne di ‘primo prezzo’. 

Quanto vale la Sanità digitale in Italia?

Nell’ultimo anno in Italia la spesa per la Sanità digitale è cresciuta del 12,5% rispetto al 2020, arrivando a 1,69 miliardi di euro, l’1,3% della spesa sanitaria pubblica. Una crescita superiore a quella degli ultimi anni, ma non ancora sufficiente a colmare il ritardo accumulato.
Secondo la ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, oggi il digitale è molto utilizzato dagli italiani per cercare informazioni in ambito salute. Il 53% ha utilizzato internet per identificare possibili diagnosi sulla base dei sintomi e il 42% per cercare informazioni su sintomi e patologie anche prima di una visita. Inoltre, il 73% di chi ha utilizzato Internet dichiara di prendere decisioni sulla salute basandosi sulle informazioni trovate online. 

Gli ambiti su cui investire

La trasformazione digitale della Sanità potrebbe arrivare grazie agli investimenti previsti dal PNRR, che assegna a riforme e investimenti nel settore Salute l’intera Missione 6, con 15,63 miliardi di euro di risorse. I Direttori delle aziende sanitarie ritengono molto rilevante l’attuazione degli interventi identificati nelle linee di indirizzo del PNRR, ma il 46% denuncia come ci sia ancora poca chiarezza su come utilizzare le risorse in gioco. Sarà quindi importante definire la strada corretta per supportare al meglio l’evoluzione verso il modello della Connected Care In ogni caso, il 60% delle aziende sanitarie ha intenzione di investire nella Cartella Clinica Elettronica, il 58% nella Telemedicina, e per il 47% dei Direttori sanitari sarebbe prioritario investire nel Fascicolo Sanitario Elettronico.

Una nuova forma di comunicazione tra medico e paziente

Se la pandemia ha influito decisamente sulla conoscenza e l’utilizzo del Fascicolo Sanitario Elettronico, dalla rilevazione svolta in collaborazione con Doxapharma, emerge che il 55% dei cittadini ne ha sentito parlare almeno una volta e il 33% lo ha già utilizzato. Tra i pazienti cronici o con problematiche gravi, le percentuali di conoscenza e utilizzo dello strumento sono ancora più elevate, l’82% lo conosce e il 54% lo ha utilizzato. Ma soprattutto, il digitale si è ormai affermato nella comunicazione tra professionista sanitario e paziente. Il 73% degli specialisti, il 79% dei MMG e il 57% degli infermieri utilizza app di messaggistica per comunicare con i pazienti, molto interessati al loro uso soprattutto per la rapidità con cui è possibile ricevere risposte.

Le competenze della Connected Care

Il 38% delle Direzioni Strategiche delle aziende sanitarie indica la mancanza di competenze digitali come barriera all’innovazione. Guardando alle Digital Soft Skills, la competenza maggiormente presidiata dai professionisti sanitari è legata alla capacità di comunicare in modo efficace con i colleghi utilizzando strumenti digitali. Per i medici sono da sviluppare le competenze di e-leadership, relative alla gestione del cambiamento e alla valutazione dei risultati dei progetti, aspetti chiave nel processo di trasformazione digitale. Per gli infermieri, invece, è migliorabile l’efficacia della comunicazione attraverso strumenti digitali con i pazienti, ancora più cruciale per poter utilizzare strumenti di Telemedicina.

In tre mesi, oltre 18mila le nuove imprese lombarde

Normalmente i primi tre mesi dell’anno sono caratterizzati da un saldo negativo tra nuove iscrizioni e cessazioni. Al contrario, nel 1° trimestre 2022 in Lombardia il saldo è positivo, con oltre 18mila nuove iscrizioni di imprese. La causa di tale anomalia è legata ai numeri ancora molto contenuti delle cessazioni, a seguito delle misure di sostegno messe in campo dalle istituzioni per arginare gli effetti della crisi scatenata dal Covid-19. Secondo il rapporto sull’andamento della demografia delle imprese di Unioncamere Lombardia, le informazioni tratte dalle anagrafi delle Camere di Commercio lombarde nei primi tre mesi dell’anno evidenziano infatti un saldo positivo tra le imprese nuove iscritte (18.333) e le imprese che hanno cancellato la propria posizione (17.423).

Ma l’incremento è limitato alle società di capitali
Le iscrizioni si sono quindi riportate sui livelli precedenti all’emergenza sanitaria, consentendo al tessuto imprenditoriale regionale di portarsi a quota 817.563 posizioni attive, con una crescita su base annua pari al +0,5%. L’incremento del numero di imprese attive è limitato alle sole società di capitali, che crescono quasi del 5%. Si tratta di un processo strutturale esteso a tutto il territorio nazionale, ma che in Lombardia assume particolare rilevanza, data la percentuale molto più elevata rappresentata dalle società di capitale, pari al 34% del totale contro il 25,8% a livello nazionale.

Le attività del terziario rappresentano il 37,6% del tessuto imprenditoriale

Le attività del terziario, escluso il commercio e i pubblici esercizi, sono alla base di gran parte della crescita registrata, con un incremento del +2,5%, che consente a questo settore di arrivare a rappresentare il 37,6% del tessuto imprenditoriale lombardo. Tra gli altri comparti mostrano un segno positivo solo le costruzioni (+0,5%), che tornano a crescere dopo la battuta d’arresto registrata nel quarto trimestre 2021. Commercio (-1,3%) e alloggio e ristorazione (-0,2%) presentano variazioni negative, abbandonando i segni positivi evidenziati nei trimestri centrali del 2021, mentre industria (-1,3%) e agricoltura (-0,3%) proseguono il trend decrescente che li caratterizza da molti anni.

Nonostante le incertezze i numeri tornano ai livelli pre-Covid
“Nonostante le incertezze del contesto internazionale, che rischiano di influenzare negativamente la ripresa, il numero di nuove imprese in Lombardia è già tornato sui livelli precedenti alla pandemia – ha dichiarato il Presidente di Unioncamere Lombardia Gian Domenico Auricchio -, gli imprenditori dimostrano quindi di avere fiducia nella affidabilità del sistema economico lombardo e sono pronti a mettersi in gioco per dare il loro contributo con lo sviluppo di nuove attività”.

Ridurre l’utilizzo dello smartphone migliora la qualità della vita

Ridurre di una sola ora al giorno il tempo trascorso sullo smartphone rende meno ansiosi, più soddisfatti della vita e più propensi a fare esercizio fisico. Lo rivela uno studio tedesco, condotta della Ruhr-Universität Bochum. I ricercatori hanno affermato che “non è necessario rinunciare completamente allo smartphone per sentirsi meglio”, ma hanno scoperto che ridurne l’uso quotidiano ha effetti positivi sul benessere di una persona. La responsabile dello studio, dott.ssa Julia Brailovskaia, con il suo team ha voluto determinare se le nostre vite siano effettivamente migliori senza smartphone, o meglio, quanto ne sia consigliato l’utilizzo. 

L’esperimento rivelatore

Gli scienziati hanno reclutato 619 persone per il loro studio e le hanno divise in tre gruppi.  In totale 200 persone hanno messo da parte il proprio smartphone per la settimana, 226 hanno ridotto di un’ora al giorno il tempo di utilizzo del dispositivo e 193 non hanno cambiato nulla nel loro comportamento. “Abbiamo scoperto che sia rinunciare completamente allo smartphone sia ridurne l’uso quotidiano di un’ora hanno avuto effetti positivi sullo stile di vita e sul benessere dei partecipanti”, ha affermato la dott.ssa Brailovskaia. “Nel gruppo che ha ridotto l’uso, questi effetti sono durati anche più a lungo e si sono rivelati quindi più stabili rispetto al gruppo dell’astinenza”.

Almeno tre ore al giorno sul proprio device

In media, le persone trascorrono più di tre ore al giorno incollate allo schermo del proprio smartphone. Tra ricerche su Google, posta elettronica o meteo, acquisti on line, social media o lettura delle notizie, gran parte della nostra vita passa attraverso lo smartphone. Per trovare un giusto equilibrio, i ricercatori hanno spiegato che “non è necessario rinunciare completamente allo cellulare per sentirsi meglio”, ma hanno scoperto che ridurne l’uso quotidiano ha effetti positivi sul benessere di una persona. 

Cosa accade nel tempo

I ricercatori hanno intervistato tutti i partecipanti sulle loro abitudini di vita e sul benessere subito dopo l’esperimento e poi un mese e quattro mesi dopo. Hanno chiesto quanto si dedicassero all’attività fisica, quante sigarette fumassero al giorno, quanto fosse soddisfatta una persona della propria vita e se mostrasse segni di ansia o depressione. Il test durato una settimana ha cambiato le abitudini di utilizzo dei partecipanti a lungo termine: anche quattro mesi dopo la fine dell’esperimento, i membri del gruppo “astinenza totale” hanno utilizzato il proprio smartphone in media 38 minuti in meno al giorno rispetto a prima.  Il gruppo che aveva trascorso un’ora in meno al giorno con il cellulare durante l’esperimento lo ha utilizzato fino a 45 minuti in meno al giorno dopo quattro mesi rispetto a prima.  Allo stesso tempo, sono aumentati benessere e il tempo dedicato all’attività fisica, mentre sono diminuiti i sintomi di depressione e ansia, nonché il consumo di nicotina.

Il tricolore regna sul carrello della spesa, grazie a vini e spumanti

Ormai un prodotto alimentare su quattro acquistato nei supermercati o ipermercati nazionali è connotato in etichetta come italiano. Si tratta di oltre 22mila referenze, che in un anno hanno aumentato le vendite del +1,8%, incassando oltre 8,7 miliardi di euro. Insomma, la sovranità alimentare guadagna spazio nel carrello della spesa nazionale. E sono soprattutto vini e spumanti a trainare l’aumento delle vendite, a partire dalle bottiglie Docg. Lo ha scoperto la decima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che ha analizzato le informazioni riportate sulle confezioni di oltre 125mila prodotti di largo consumo.

Volano i claim “100% italiano” e “prodotto in Italia”

La bandiera italiana è il più diffuso ‘segnale’ di identità nazionale: presente sulle etichette di 13.266 prodotti alimentari, per un giro d’affari complessivo che sfiora i 5 miliardi di euro (+0,2%), ha visto aumentare le vendite soprattutto di pizze surgelate, patatine, arrosti affettati e bevande a base di tè.
Birre, arrosti affettati, ricotta, acqua minerale naturale e pomodori trainano invece le vendite dei 6.688 prodotti alimentari che si dichiarano in etichetta ‘100% italiano’, e che hanno realizzato 3,5 miliardi di euro di giro d’affari (-0,3%). Le 6.945 referenze alimentari che vengono presentate in etichetta con il claim ‘prodotto in Italia’ hanno, invece, realizzato 1,5 miliardi di euro. Le performance migliori? Quelle del pesce preparato panato surgelato e i secondi piatti surgelati.

Il prosecco traina la Docg

Ma a brillare è stata soprattutto la Docg, trainata dalla domanda di prosecco, vini e spumante classico. In un anno, gli 877 vini a Denominazione di origine controllata e garantita hanno aumentato il giro d’affari del +17,1%, superando 273 milioni di euro.  Vini e spumanti hanno determinato l’aumento delle vendite dei 1.861 prodotti Doc (+9,1%, oltre 466 milioni di euro), e quelle dei 793 prodotti Igt, che hanno incassato oltre 163 milioni di euro (+3,0%). Speck e bresaola affettati, patate, cipolle rosse e piadina sono stati invece i prodotti più performanti tra i 1.083 contrassegnati Igp, arrivati a oltre 432 milioni di euro di vendite (+3,8%).

Piemonte, Toscana e Sicilia le più segnalate in etichetta

Il valore dell’italianità alimentare è sempre più spesso declinato in tipicità territoriale e comunicato in etichetta specificando il nome della regione da cui il prodotto proviene. Nei 12 mesi le vendite di questi 9.429 prodotti registrano un +5,4% e superano i 2,6 miliardi di euro, portando così i prodotti alimentari connotati come regionali a generare l’8,2% del fatturato di tutto il mondo alimentare rilevato, rappresentando il 10,8% delle referenze totali. Nella classifica delle regioni più segnalate sulle etichette quella con il maggior numero di prodotti a scaffale è il Piemonte, seguita da Toscana e Sicilia. La regione con il maggior giro d’affari in GDO resta il Trentino-Alto Adige, davanti a Sicilia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. Mentre Lazio (+17%), Puglia (+16,6%) e Veneto (+15,5%) sono le tre regioni che hanno registrato i maggiori tassi di crescita annui delle vendite.

Quanta plastica c’è nei vestiti? Il 94% degli europei non lo sa 

Quanta plastica c’è nei vestiti che indossiamo? Il 94% degli europei non lo sa. Il tema della sostenibilità legata all’abbigliamento è uno degli aspetti più ‘misconosciuti’ dai consumatori europei. Tanto che chiamati a rispondere a un test sulle fibre, il 68% degli europei non sapeva che il nylon è una fibra di plastica, e il 62% che il poliestere, la fibra più usata al mondo, è anch’essa plastica.
È quanto è emerso dal nuovo rapporto di Electrolux, l’azienda produttrice di elettrodomestici, dal titolo The Truth About Laundry – Microplastic Edition, che ha coinvolto 15.000 adulti in quindici mercati europei. Parte del problema, secondo Sarah Schaefer, Electrolux VP Sustainability (Europe), è proprio la mancanza di consapevolezza del significato di ‘sintetico’.

Saper riconoscere i prodotti tessili sintetici

“Siamo diventati così abituati alla frase ‘materiale sintetico’ che la maggior parte di noi ha perso di vista il fatto che la maggioranza di questi materiali sintetici sono in realtà plastica – ha affermato Sarah Schaefer -. La nostra ricerca mostra che c’è un urgente bisogno di aiutare le persone a capire di più sui materiali che stanno acquistando e su come prendersene cura al meglio, oltre a incoraggiare il maggior numero di persone possibile ad adottare pratiche di lavaggio più rispettose dell’ambiente – ha continuato Schaefer -. Facendo una serie di piccoli passi, tra cui l’installazione di un Filtro per le Microplastiche, ognuno di noi può ridurre l’impatto ambientale dei prodotti tessili”.

Prevenire il rilascio di fibre di microplastica è possibile

Electrolux, infatti, ha lanciato sul mercato un nuovo Filtro per le Microplastiche, che aiuta a prevenire il rilascio di fibre di microplastica dai tessuti lavati in lavatrice. Con questo dispositivo è possibile evitare il rilascio di microplastiche nell’ambiente in una quantità che può raggiungere fino a due sacchetti di plastica all’anno per famiglia. Di fatto, il nuovo Filtro per le Microplastiche può catturare fino al 90% delle fibre di microplastica, ovvero più grandi di 45 micron, rilasciate dagli indumenti sintetici durante il lavaggio.

Ogni anno finiscono nel mare tre miliardi di magliette in poliestere

Ma quanto pesa sull’ambiente il rilascio di microplastiche dagli indumenti sintetici? In pratica, ogni anno con il lavaggio dei tessuti circa mezzo milione di tonnellate di microfibre di plastica vengono rilasciate in mare. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), questa quantità equivale alla dispersione in mare di tre miliardi di magliette in poliestere ogni anno.

Italiani e fake news, qual è il loro rapporto?

Qual è il rapporto fra gli italiani e le fake news, ormai sempre più frequenti nel mondo della cosiddetta informazione? Lo ha esplorato l”ultima indagine condotta da Ipsos, per IDMO (Italian Digital Media Observatory), che ha indagato il rapporto tra i nostri connazionali e le notizie, compresa la loro capacità di distinguere bufale e fake news. Dall’indagine emerge come gli italiani non hanno dubbi sul significato stesso di “fake news”, ne sono a conoscenza e il 73% dichiara di essere in grado di riconoscerle (percentuale che aumenta a quasi l’80% tra i più giovani). La medesima fiducia, però, non è risposta nella capacità altrui: soltanto il 35% crede che le altre persone siano in grado di distinguere notizie vere da notizie false. In generale, tra i più giovani (18-30 anni) e i più scolarizzati le attività di controllo per analizzare l’attendibilità e affidabilità delle informazione online e, quindi, proteggersi dalla disinformazione sono maggiormente frequenti. 

I giovani le riconoscono? 

Il primo dato emerso dal sondaggio, condotto da Ipsos per IDMO, sottolinea come la stragrande maggioranza degli italiani (7 su 10) si informa esclusivamente tramite fonti gratuite o solo 1 su 4 è disposto a pagare per accedere ad informazioni di cui si fida. Il termine “fake news” è ampiamente conosciuto e associato a diverse tipologie di notizie. Quelle considerate più diffuse e più pericolose dagli intervistati sono le notizie tendenziose, ovvero comunicate o interpretate in modo intenzionalmente modificato allo scopo di favorire particolari interessi.
La maggioranza – più del 60% – sostiene che chi diffonde fake news sia consapevole del fatto che sono notizie false e che la principale motivazione sia economica (37%). Il restante 36% sostiene che chi diffonde fake news nella maggior parte dei casi pensa che la notizia sia vera e che la principale motivazione sia sociale (29%).

L’istruzione serve

Tra i più scolarizzati il quadro cambia: è il 57% a ritenere che chi diffonde una fake news non sia consapevole del fatto che la notizia sia falsa. L’indagine ha anche rilevato un ampio scostamento tra la percezione di essere personalmente in grado di distinguere fatti reali dalle fake news (73% crede di esserne in grado) e la considerazione di quanto le altre persone siano capaci di farlo (solo il 35% crede che siano in grado).

Tra i più giovani e i più scolarizzati è più diffusa la fiducia nella propria capacità di distinguere fatti reali da fake news (quote sopra al 75%), mentre tra i più adulti è maggiormente diffusa la fiducia nella capacità delle altre persone in Italia (40%).

Nel 2021 +20,9% per l’export italiano di arredamento e illuminazione 

Sul fronte delle esportazioni il macrosistema italiano arredamento e illuminazione cresce del +20,9% sul 2020, superando i livelli del 2019 con una variazione del +9,4%. Si tratta di un sistema che da solo pesa per quasi tre quarti delle vendite estere totali della filiera L-A, e nell’ultimo anno tutti i mercati principali sono caratterizzati da netti incrementi. Quanto ai paesi di destinazione, nel periodo che va da gennaio a novembre 2021, la Francia si conferma la prima destinazione, con un +25,1% sul 2020, e un fatturato alla produzione di 2 miliardi di euro nel 2021. La Francia è infatti uno sbocco commerciale che rimane promettente, dove il contract, nonostante fatichi a tornare alla normalità, trova uno dei principali hub mondiali. Sono alcuni dati rilasciati da FederlegnoArredo in occasione della presentazione della 60esima edizione del Salone del Mobile (dal 7 al 12 giugno 2022 a Milano).

I mercati di destinazione principali? Francia, Usa e Germania

Al secondo posto dei mercati di destinazione, gli Stati Uniti (+42,8% sul 2020, fatturato alla produzione 1 miliardo e 356 milioni di euro nel 2021), con andamenti particolarmente dinamici per i comparti camere da letto, imbottiti, materassi, complementi d’arredo, mobili e accessori bagno e illuminazione. Seguono Germania (+15,3% sul 2020), che registra andamenti positivi nelle esportazioni dei comparti area living e termo arredi, Regno Unito (+25,5% sul 2020) Svizzera (+18% sul 2020) e Cina (+28,9% sul 2020), in marcata crescita per i comparti vasche da bagno e chiusure doccia, imbottiti, camere da letto, pavimenti. La Russia passa invece dal +14,9 sul 2020 al -5,9 sul 2019.

Arredamento, +15,6%, arredobagno, +10,1%

Tra i sistemi più dinamici, l’arredamento (+15,6% sul 2019) e l’arredobagno (+10,1% sul 2019), entrambi con un andamento positivo sia per le vendite Italia sia per quelle estere. In linea con il sistema arredamento anche il comparto cucine (+12,2% sul 2019) che recupera sul 2020 e supera i livelli pre-pandemia, beneficiando più di altri delle condizioni positive sul mercato interno.
Parziale recupero anche per i comparti legati al non residenziale (uffici, arredamenti commerciali, hospitality) sebbene ancora sia lontano il ritorno alla normalità. 

Meno dinamici i comparti più connessi con il mondo contract

Anche nel 2021 si confermano meno dinamici i comparti più connessi con il mondo contract rispetto a quelli legati alla casa. Se l’andamento del sistema ufficio rispetto al 2020 è positivo (+20,0% il fatturato alla produzione), non sono tuttavia ancora recuperati i valori registrati nel 2019 (-4%) prima del periodo pandemico. A causa dell’export ancora rallentato, il sistema illuminazione si mantiene al di sotto dei livelli 2019. Bene invece le vendite sul mercato italiano, che tornano ai livelli pre-pandemia (+2,8%). A determinare l’entità della crescita del 2021 contribuisce anche l’effetto-prezzo. Per fronteggiare i maggiori costi di materie prime ed energia le imprese hanno dovuto ricorrere a un aumento dei listini, spesso affiancato alla riduzione della marginalità, e in misura minore, anche al ricorso all’autoproduzione energetica.