Assicurazioni sulla “vita digitale”: un mercato da 100 milioni euro l’anno

I pericoli nella vita digitale sono tanti. Fra cyber bullismo, stalking e diffamazione sui Social network, Revenge porn, furto e diffusione di dati personali, frodi informatiche, non sorprende che le compagnie assicurative stiano mettendo a punto nuovi strumenti assicurativi per proteggere i privati dai rischi connessi all’uso di Internet. Un mercato che nel prossimo futuro in Italia potrebbe valere potenzialmente più di 100 milioni di euro l’anno. A oggi in Italia le polizze contro i cyber risk vengono però proposte come garanzie accessorie all’interno di pacchetti legati alla casa, con un costo che varia mediamente tra i 24 e i 40 euro l’anno.

Nel 2017 16 milioni di vittime di cyber crimine in Italia

Questo tipo di coperture di fatto sono ancora poco diffuse nel nostro Paese, ma potrebbero crescere significativamente nei prossimi anni. “Non solo in virtù di una maggiore consapevolezza dei rischi legati al web – spiega Lodovico Agnoli, Responsabile new business di Facile.it – ma anche perché alcune compagnie stanno iniziando a proporre queste assicurazioni come prodotti indipendenti e non più connessi all’abitazione”. Entro il 2025, infatti, “il valore del mercato globale delle assicurazioni personali contro i cyber risk potrebbe addirittura superare i 3 miliardi di euro – continua Agnoli – dati che non devono sorprendere se si considera che le vittime del cyber crimine, solo in Italia e solo nel 2017, sono state 16 milioni”.

Come funzionano le polizze?

Nei casi in cui l’intestatario della polizza, o uno dei membri della sua famiglia, sia vittima di cyber bullismo, diffusione illecita di materiale personale, diffamazione o minacce online, l’assicurazione interviene assistendo il cliente nei processi in sede civile e penale o in via stragiudiziale, al fine di ottenere la rimozione dei contenuti lesivi pubblicati e per richiedere l’eventuale risarcimento danni. Se l’azione intrapresa non porta a risultati concreti in tempi rapidi, alcune compagnie supportano l’assicurato con un team di esperti che si attiverà per inondare la rete con nuovi contenuti volti a disperdere e minimizzare la visibilità dei materiali lesivi pubblicati, mettendo in atto il cosiddetto flooding.

Coperture assicurative per i cyber risk

Oltre alla copertura delle spese legali alcune polizze offrono anche un supporto di natura medica, sostenendo anche le eventuali spese per cure psicologiche laddove la vittima manifesti disturbo post traumatico da stress. Inoltre, le polizze Cyber risk spesso offrono strumenti sviluppati per prevenire e ridurre al minimo i rischi online, come programmi che proteggono l’assicurato da virus, malware, o attacchi da parte di hacker. Alcune compagnie assicurative si spingono oltre e analizzano il dark web con l’obiettivo di individuare eventuali usi fraudolenti dei dati personali dell’assicurato, avvisandolo in caso di possibili situazioni a rischio. In caso di perdita di dati, come foto, video, documenti, poi, le compagnie mettono a disposizione dell’assicurato software per il recupero dei dati persi e coprono i costi di riparazione presso un centro specializzato. Inoltre, offrono supporto nella risoluzione di controversie legate agli acquisti online

Nel 2020 l’export agroalimentare raggiungerà 46-47 miliardi

Nel 2020 sarà quasi sfiorato l’obiettivo di raggiungere i 50 miliardi di export agroalimentare italiano fissato per Expo 2020. Proiezioni attendibili indicano infatti una soglia probabile a 46-47 miliardi di euro. Nonostante l’ultimo decennio il nostro Paese abbia perso oltre 12 punti di Pil pro-capite rispetto alla media Ue, passando dal 107% del 2008 al 95% del 2017, la filiera agroalimentare italiana nel 2018 ha raggiunto un peso vicino ai 200 miliardi di fatturato, di cui 140 miliardi imputabili all’industria alimentare, e 55 miliardi al primario. Stimando il Pil 2018 attendibilmente sui 1.750 miliardi, la filiera agroalimentare ne copre quindi oltre l’11%.

Una crescita di oltre il 3% nel 2018

Nel 2018 l’export dell’industria alimentare si attesta su una crescita di oltre il 3%, a 33 miliardi di euro circa “meno della metà del 2017 – spiega Luigi Scordamaglia, numero uno della neonata Filiera Italia – ma si tratta pur sempre di un dato molto positivo visto il contesto: i mercati esteri hanno importato meno e l’Italia ha fatto comunque meglio di Francia e Germania”.

Particolarmente positivo il mese di ottobre 2018, che ha messo a segno un aumento del 9,8% rispetto allo stesso mese del 2017, riportando il trend progressivo dei dieci mesi al +3,4%.

La nota dolente arriva dal mercato interno

La nota dolente, riferisce Askanews, arriva dal mercato interno. Le vendite continuano ad arrancare, e secondo le ultime rilevazioni Istat sui primi dieci mesi del 2018 si registra un +0,8% in valore e un -0,5% in volume. Anche in questo caso un ottobre positivo ha migliorato i progressivi dei nove mesi (+0,7% in valore e -0,7% in volume), ma considerato il contesto nazionale e internazionale è difficile che l’anno in corso faccia meglio del 2018.

La velocità di uscita lasciata in eredità dalla filiera in chiusura d’anno, però, è incoraggiante. “L’ipotesi più probabile – continua Scordamaglia – è il consolidamento dei trend, con produzione alimentare attorno al +1,0%, export attorno al +3-4%, con tuttavia una perdurante stagnazione del mercato interno”.

Una filiera che in Italia occupa 1,385 milioni di addetti

Che il comparto agroalimentare sia uno dei pilastri dell’economia italiana lo testimonia il fatto che la filiera nel 2018 ha raggiunto un peso prossimo ai 200 miliardi di fatturato. Non solo, la filiera occupa in Italia 1,385 milioni di addetti, di cui 919.000 in agricoltura e 465.000 nell’industria (dati 2017), incidendo complessivamente per il 5,5% su tutti gli occupati in Italia. Il dato sull’occupazione dell’agricoltura in Italia è in netta controtendenza con quello della media Ue, con una crescita di circa il 3% nel periodo 2013/2017 rispetto ad una riduzione degli addetti Ue del -7%. Un settore quindi di sempre maggiore occupazione futura e giovanile, e che nei prossimi anni farà fatica a soddisfare la propria domanda di lavoratori.

La Manovra pesa sulle imprese per 4,9 miliardi di euro

Lo afferma l’Ufficio studi della Cgia: nel 2019 la manovra di Bilancio costerà al sistema imprenditoriale italiano 4,9 miliardi di euro. Di questi 3,1 graveranno sulle imprese non finanziarie, e 1,8 miliardi sugli istituti di credito e sulle assicurazioni. Questo, nonostante i correttivi approvati dalla Camera dei Deputati, che rispetto al testo uscito da Palazzo Chigi ha diminuito l’aggravio sulle imprese di 1,3 miliardi di euro dai 6,2 miliardi previsti.

“Uno sforzo importante, ma non ancora sufficiente – spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi -. Le aspettative degli imprenditori, in particolar modo in materia fiscale, sono state ampiamente disattese. Senza contare che con la rimozione del blocco delle tasse locali prevista in manovra c’è il pericolo che dal 2019 torni ad aumentare il peso dei tributi locali”.

Nel 2020 il sistema economico subirà una riduzione di prelievo pari a 1,7 miliardi

Nel 2019 il prelievo sulle imprese private è destinato ad aumentare di 3,1 miliardi, e sugli istituti bancari e quelli assicurativi di 1,8 miliardi. Le cose andranno meglio negli anni successivi: nel 2020 il sistema economico subirà una riduzione di prelievo pari a 1,7 miliardi e nel 2021 l’alleggerimento fiscale salirà a 2,2 miliardi.

Fra le misure introdotte dalla legge di Bilancio è stata inserita anche “l’annunciata, ma non ancora approvata, riduzione del premio Inail – ricorda la Cgia -. Non sono stati conteggiati, invece, gli effetti delle misure introdotte definitivamente con il decreto semplificazione”, misure che comunque dovrebbero agevolare le imprese per un importo di circa 70 milioni di euro annui.

Inoltre, puntualizza l’associazione di Mestre, “è stato sterilizzato l’aumento dell’Iva per un importo di 12,6 miliardi di euro”. Se ciò non fosse avvenuto l’incremento delle aliquote probabilmente avrebbe contribuito alla diminuzione dei consumi, condizionando negativamente i ricavi.

Il pericolo di un eventuale aumento della tassazione locale.

Avendo rimosso il blocco delle aliquote dei tributi locali introdotto nel 2015 è molto probabile che molti sindaci torneranno a innalzarle. Secondo alcune stime, riporta Adnkronos, degli 8.000 Comuni presenti in Italia l’81% ha i margini per aumentare l’Imu sulle seconde case e addirittura l’85% per innalzare l’addizionale Irpef.

Pertanto “è evidente – prosegue la Cgia – che molti sindaci, a fronte dei tagli ai trasferimenti avvenuti in questi anni, se avranno la possibilità non si lasceranno certamente sfuggire l’occasione di mettere mano alle entrate, agendo sulla leva fiscale. Speriamo che in sede di discussione al Senato questa ipotesi sia ‘congelata’, così come accaduto negli ultimi tre anni”.

Lavoratori in malattia: il settore privato supera il pubblico

Qualcosa è cambiato: nel rapporto fra pubblico e privato il secondo supera il primo per numero di lavoratori in malattia. Secondo quanto riporta l’Osservatorio dell’Inps, nel terzo trimestre del 2018 sembra che i lavoratori in malattia siano in aumento nel settore privato e in diminuzione in quello pubblico. I primi infatti segnano un +6,8%, contro il calo del -3,1% dei secondi.

Anche a livello territoriale si rileva una sorta di inversione di tendenza: l’aumento del numero di certificati nel settore privato è prevalente al Sud (+7,9%), mentre nel settore pubblico la diminuzione risulta più consistente al Nord (-5,5%).

A dicembre 2017 oltre 13,5 milioni di lavoratori ammalati

Più in particolare, nel mese di dicembre 2017 il numero di lavoratori dipendenti interessati al controllo d’ufficio dello stato di malattia da parte dell’Inps è stato di 13,7 milioni, di cui 2,8 nel settore pubblico e 10,9 nel settore privato.

All’aumento del numero dei certificati nel settore privato corrisponde però una crescita meno che proporzionale del numero dei giorni di malattia (+4,9%), mentre nel settore pubblico alla diminuzione del numero dei certificati si osserva un decremento più che proporzionale dei giorni di malattia (-7,3%).

Il numero medio di giornate di malattia è stabile in entrambi i settori

Il numero medio dei certificati dei lavoratori, sia nel settore pubblico sia in quello privato, rimane invece stabile, ed è rispettivamente di 3 e 2 certificati ogni 10 lavoratori. L’Inps precisa che qualsiasi confronto sul numero di certificati tra il settore pubblico e privato va sempre interpretato tenendo conto della diversa struttura per età dei lavoratori e della diversa normativa di riferimento. Il numero medio di giornate di malattia per lavoratore con almeno un giorno di malattia rimane stabile per il settore privato, ed è pari a 11,6 giorni, mentre scende lievemente per il settore pubblico, da 11,5 a 11,3 giorni.

Visite mediche di controllo: 129 mila nel privato e 84 mila nel pubblico

Sempre nel terzo trimestre 2018, per quanto riguarda l’attività di verifica dello stato di malattia, in termini relativi il numero di visite è risultato pari a 119 ogni mille certificati per il settore pubblico del Polo unico rispetto alle 52 visite del settore privato. Questo, riferisce Adnkronos, nonostante la notevole differenza in termini assoluti del numero di visite mediche di controllo effettuate, pari a 129 mila nel settore privato e 84 mila di quello pubblico.

Nel settore pubblico la maggior parte delle visite sono effettuate su richiesta dei datori di lavoro, e solo il 20% sono disposte d’ufficio. Nel settore privato il 65% delle visite mediche di controllo sono invece disposte d’ufficio.

Imprese italiane, che difficile trovare figure professionali!

In un mercato del lavoro che appare fortunatamente più dinamico rispetto ai mesi passati, sembra invece difficile far incontrare con successo domanda e offerta di impiego. L’indicazione è il frutto dei dati emersi dai programmi occupazionali delle imprese dell’industria e dei servizi, monitorate dal Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.

Ottobre, assunzioni in crescita

Durante il mese di ottobre, in base ai dati registrati, sono aumentate le imprese che programmano assunzioni. Non solo: sono in numero crescente anche i contratti offerti. In contemporanea, però, aumenta pure la difficoltà di far incontrare domanda e offerta di lavoro, che tocca il suo massimo dallo scorso anno. Come a dire, “l’incastro” perfetto ancora non c’è.

Più difficile trovare le giuste figure professionali al Nord

Il rapporto, come scrive Askanews, evidenzia che su circa 370mila contratti di lavoro da stipulare entro fine mese (31mila in più rispetto a un anno fa), il 29% presenterà difficoltà di reperimento (era il 25% a ottobre 2017). A livello territoriale, però, si registrano delle differenze davvero notevoli: si passa da un massimo intorno al 42% di difficoltà riferite alle province di Pordenone, Lecco, Ferrara e Bologna a valori decisamente più contenuti (intorno al 15%) a Brindisi, Benevento, Taranto e Ragusa.

Tecnici e operai specializzati, dove siete?

In questo scenario ci sono delle figure professionali chiaramente più difficili da reperire. Lo dicono i numeri. Tra i profili più difficili da trovare si contano i tecnici in campo ingegneristico (61,2%), quali ad esempio tecnici addetti alla programmazione di macchine a controllo numerico e tecnici per la gestione, manutenzione ed uso di robot industriali; gli operai specializzati nella lavorazione dei metalli (58%), tra cui fonditori, saldatori, fabbri; gli addetti a macchinari dell’industria tessile (50,3%); gli ingegneri (49,8%); gli operai di macchine automatiche (49,7%); gli elettromeccanici (47%), come ad esempio installatori, montatori, manutentori di macchinari per impianti industriali, di apparecchiature elettriche, elettroniche, informatiche.

Le imprese cercano personale qualificato

La domanda di lavoro espressa dalle imprese in questo mese si caratterizza anche per una ricerca più accentuata di personale ad alta qualificazione: rispetto a ottobre 2017, aumenta di 1,3 punti percentuali la quota di contratti che verranno offerti ai Dirigenti e alle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione e di 0,7 punti percentuali quella destinata alle professioni tecniche. La maggior domanda fa innalzare anche la difficoltà di reperimento che, per le professioni tecniche, raggiunge addirittura il 35,7% delle entrate programmate.

Design e comfort: hai già provato le calzature Bruno Bordese?

Qualità dei materiali, tecniche di lavorazione all’avanguardia, design e comfort assoluto: ecco il mix vincente che ha reso le calzature Bruno Bordese oggetto del desiderio per tantissime persone che desiderano vestire sempre con eleganza e affidare al tempo stesso i propri piedi a delle scarpe che possano avvolgerli e accoglierli in un ambiente confortevole, che abbia proprio il loro benessere come obiettivo primario. Dalle calzature per uomo a quelle per donna, Bruno Bordese presenta ottime soluzioni sia per il tempo libero che per il lavoro, così come per gli appuntamenti più importanti o gli impegni di ogni giorno, senza mai rinunciare alla ricercatezza e allo stile. Proprio lo stile è uno dei capisaldi di tutte le collezioni di questo prestigioso marchio, grazie alle sue linee accattivanti e moderne che rendono ogni calzatura l’accessorio ideale per completare qualsiasi tipo di outfit in maniera appropriata.

Rimanere al passo con i tempi è infatti un must per Roberto Bordese, ed egli stesso non ha fatto mistero di attingere tantissimo alla street-art e al modo di vivere delle nuove generazioni per trarre l’ispirazione necessaria alla creazione di nuove linee e nuovi prodotti. Alla stessa maniera, anche i viaggi hanno un ruolo determinante nell’influenzare l’estro di questo talentuoso stilista, che è in grado di cogliere l’ispirazione giusta anche in tutte quelle piccole cose che è possibile trovare nei botteghini dell’antiquariato. Tale creatività e ricercatezza dei particolari è tangibilmente visibile osservando da vicino una qualsiasi calzatura Bruno Bordese, mentre è sufficiente calzarla per qualche minuto per rendersi anche conto che l’estetica e la bellezza non hanno in alcun modo compromesso la comodità di tali calzature, che al contrario sono in grado di accogliere il piede e garantirgli tutta la comodità di cui ha bisogno anche se le si indossano per più ore al giorno.

Italiani single, stipendio quasi dimezzato dalle tasse

Lavoratori single italiani tra i più tartassati dal Fisco: lo dice l’OCSE nel rapporto ‘Taxing Wages 2017’. Nel nostro Paese, infatti, il cuneo fiscale per una lavoratore single è del 47,7%: percentuale che colloca l’Italia al terzo posto  tra i Paesi dell’area Ocse, dietro al Belgio (53,7%) e alla Germania (49,6%). La classifica stilata dall’organizzazione segnala che la media per i lavoratori single è di un carico – fra tasse e i contributi sociali su lavoratore e datore di lavoro – al 35,9%. Sia per il nostro Paese che per l’intera area Ocse il dato 2017 è in calo marginale (0,1 punti) rispetto all’anno precedente.

Tasse più leggere per chi ha famiglia

Nel caso di un lavoratore con un nucleo familiare di 4 persone, riporta AdKronos, il cuneo fiscale per l’Italia scende al 38,64% (praticamente gli stessi valori dell’anno precedente). Tuttavia, resta alto il distacco dagli altri paesi: 12 punti la distanza con la media Ocse del 26,1%. L’Italia peraltro è nel novero dei 10 paesi in cui i contributi di previdenza sociale superano il 20%. I più alti sono in Francia con il 26%.

Riforma fiscale, prioritaria per Unimpresa

In Italia c’è quindi bisogno “di una riforma fiscale seria volta alla riduzione delle tasse sulle imprese e pure sulle famiglie. L’Italia è ampiamente sopra la media globale per quanto riguarda il cuneo fiscale e il gap è un fattore di competitività assai penalizzante per il nostro Paese” afferma il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci, commentando i dati Ocse. “La crescita economica ha bisogno di un impulso fortissimo che potrebbe arrivare proprio dall’abbattimento del peso dei tributi sul costo del lavoro. Ci sarebbero benefici diretti sia sui costi aziendali, che calerebbero, sia sulle buste paga dei lavoratori, che aumenterebbero immediatamente. Tutto questo con effetti positivi sul prodotto interno lordo, grazie soprattutto alla potenziale crescita degli investimenti e all’incremento dei consumi delle famiglie”.

Lo stesso vale per i consumatori

“I dati confermano che urge una riforma fiscale per aumentare la busta paga netta che i lavoratori effettivamente incassano” dice Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Inoltre, in questi anni di crisi, è mancata una politica dei redditi e la concertazione tra imprenditori e sindacati non ha funzionato. Non ci sono stati i rinnovi contrattuali, a cominciare dal pubblico impiego e questo ha dissanguato i lavoratori, impoverendoli. Anche se ora i rinnovi stanno arrivando, è di tutta evidenza che vanno cambiate le regole troppe discrezionali che governano l’adeguamento degli stipendi al costo della vita. Serve il ripristino della scala mobile all’inflazione programmata”. Conclude il presidente dell’Unc: “Altrimenti  se gli stipendi e le pensioni restano al palo, mentre le tariffe ed il costo della vita salgono, i consumi della famiglie non potranno mai decollare”.

Startup hi-tech italiane, il mercato cresce grazie agli investimenti stranieri

Credono nella capacità degli italiani più gli stranieri che i nostri connazionali. Ecco, in estrema sintesi, l’identikit dello stato di salute delle startup italiane secondo l’Osservatorio Startup Hi-tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con Italia Startup – l’Associazione dell’ecosistema startup italiano.

Investitori esteri più fiduciosi

In base alle evidenze del rapporto, cresce la fiducia degli investitori esteri (+163% rispetto al 2016), i finanziamenti dei quali rappresentano il 36% dei fondi a disposizione delle startup hi-tech italiane. Passa da 101 milioni nel 2016 a 80 milioni nel 2017 il contributo economico degli investitori formali italiani, ma a bilanciare la decrescita è l’aumento del 10% dei finanziamenti da parte di attori informali.

Per il Nord e il Centro Italia il sistema a supporto delle startup è la principale motivazione che influenza la scelta della localizzazione della sede (per il 29% e 33% del campione), insieme all’accesso a personale qualificato in loco (17%). Al Sud e nelle Isole, le motivazioni si spostano sulla possibilità di accedere a incentivi conferiti da autorità pubbliche (23%) e sulla dimensione del mercato (23%).

Le note positive

“L’ecosistema startup hi-tech italiano continua purtroppo a soffrire di un cash shortage a monte, e dovrebbe essere sostenuto da opportuni strumenti ed operazioni ad esso interamente destinati e dedicati. È doveroso osservare però come all’interno di questo trend vi sia una nota positiva per le startup nostrane: si evidenzia infatti un aumento del taglio medio di investimento (circa il 70% dei quali superano i 500.000 euro), segnale che anche in Italia è possibile ottenere round di fascia medio-alta che aiutino la startup a proseguire nel processo di crescita” dice Antonio Ghezzi, Direttore dell’Osservatorio Startup Hi-tech del Politecnico di Milano.

Gli investimenti in startup hi-tech italiane nel 2017

Gli investimenti da parte di attori formali calano del 21%, passando dai 101 milioni del 2016 agli 80 milioni del 2017. Certamente un dato negativo, anche a fronte dell’ottima performance fatta registrare nel 2016 (dove per la prima volta avevano sfondato il tetto dei 100 milioni) ma la diminuzione non deve suscitare allarmismi. Negli ultimi sei anni, infatti, si è assistito spesso ad andamenti altalenanti, dove le dimensioni ancora ridotte degli investimenti complessivi potevano essere influenzate significativamente da poche grandi operazioni dell’ordine delle decine di milioni di euro.

I finanziamenti da attori informali fanno da contraltare al comparto precedente, bilanciando in parte la loro decrescita grazie a un trend positivo (+11%) che li porta a raggiungere quota 89 milioni di euro (contro gli 81 milioni di euro del 2016). Per la prima volta dal 2012 si registra quindi il “sorpasso” degli investimenti informali su quelli formali, guidato prevalentemente dalle componenti degli Angel Network e dei Business Angel indipendenti, nonché da una forte crescita dell’Equity Crowdfunding che raddoppia il suo valore dell’anno, per una stima pari a oltre 10 milioni di euro (entrambe le componenti positivamente influenzate dagli incentivi legati al 30% di detrazione fiscale sulle somme investite in startup e PMI innovative).

Mercato immobiliare in ripresa: compravendite a +1,8% su base congiunturale

Qualche buona notizia per il mercato immobiliare italiano, almeno nel primo trimestre del 2017. In base ai dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica, pare che qualcosa si stia muovendo e che ci siano spiragli rosei, dopo anni decisamente difficili per il comparto degli immobili. L’analisi rivela che le convenzioni notarili di compravendite per unità immobiliari (169.527) sono cresciute dell’1,8% su base congiunturale (+1,6% il settore dell’abitativo e +4,5% il comparto economico). Un ottimo segnale per il mercato immobiliare nostrano, confermato anche da una crescita generalizzata in tutto il paese, dal Nord al Sud, nelle grandi città metropolitane così come nei piccoli centri.

Più operazioni nel Nord-est d’Ital

E’ al Nord-Est che si registrano gli incrementi congiunturali più significativi: le compravendite di immobili  segnano un +3,1% e quelle per il comparto abitativo il +3,0%. Performance ottime al Nord-ovest e al Sud per l’economico (+5,2% entrambe), mente il Centro vede una leggera flessione sulla totalità della transazioni (-0,1%).In termini tendenziali le convenzioni notarili di compravendite per unità immobiliari aumentano del 6,5% (settore abitativo +6,5% e comparto economico +5,5%) in un contesto di rallentamento della crescita.

Cresce il settore sia abitativo sia economico

L’aumento su base annua coinvolge tutte le aree geografiche: gli aumenti più corposi si registrano nel  Nord-est e nel Nord-ovest per il settore dell’abitativo (rispettivamente +8,8% e +8,2%) e nelle Isole e nel Nord-est per quello economico (+9,5% e +8,1%). Il trend di crescita coinvolge sia le città metropolitane sia i piccoli centri: per l’abitativo rispettivamente +7,0% e +6,1%, per il comparto economico +4,6% e +6,2%.

Trasferimenti di proprietà di immobili il 93,8% delle convenzioni

In base ai dati dell’Istituto di statistica, il 93,8% delle convenzioni stipulate concerne trasferimenti di proprietà di immobili ad uso abitativo ed accessori (159.024), il 5,6% quelli ad uso economico (9.534) e lo 0,6% quelli ad uso speciale e multiproprietà (969).

Le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare (97.199) segnano un incremento del 2,5% rispetto al trimestre precedente e del 10,7% su base annua. La ripresa coinvolge tutto il territorio nazionale.

La crescita è distribuita a livello nazionale

In Italia, la crescita tendenziale riguarda tutte le ripartizioni geografiche – con variazioni più consistenti nel Nord-ovest (+12,2%) e nel Centro (+10,8%) – ed è più marcata nelle città metropolitane (+11,9%) rispetto ai piccoli centri (+9,8%). Ma la crescita c’è, ed è davvero un ottimo segnale per il comparto.