Come rendere il tuo negozio più sostenibile

La sostenibilità è oggi più che mai un tema centrale anche nel mondo degli affari.

I consumatori infatti, cercano sempre più di acquistare da aziende che dimostrano un impegno concreto per l’ambiente e la sostenibilità.

Se sei un imprenditore che vuole fare la differenza e contribuire a creare un futuro più sostenibile, oltre che dare una immagine migliore del proprio brand, devi iniziare a pensare a come rendere il tuo negozio più sostenibile.

Noi abbiamo preparato alcuni suggerimenti che possono esserti utili in tal senso, eccoli di seguito.

Riduci l’uso di plastica

La plastica è uno dei maggiori inquinanti del nostro pianeta, e ridurre l’uso di plastica è una delle cose più importanti che puoi fare per rendere il tuo negozio più sostenibile.

Ci sono diverse cose che puoi fare in tal senso.

Ad esempio, un primo passo è quello di sostituire i sacchetti di plastica usa e getta con quelli riutilizzabili. In questo modo, non solo ridurrai l’uso di plastica, ma promuoverai anche l’utilizzo di sacchetti più sostenibili.

Al tempo stesso, se la tua è una di quelle attività che somministrano bevande, evita l’uso di bottiglie di plastica. Al contrario, fornisci ai tuoi clienti l’acqua filtrata proponendo l’uso di borracce riutilizzabili al posto dei bicchieri di plastica.

Sfrutta l’energia rinnovabile

L’uso dell’energia rinnovabile è un altro modo interessante per rendere il tuo negozio più “green”.

L’energia rinnovabile, come l’energia solare o quella eolica, è pulita e non contribuisce alle emissioni di gas serra.

Per sfruttare questa opportunità e ottenere energia “pulita” in negozio, l’installazione di pannelli solari è una delle soluzioni più efficaci.

Questi pannelli possono fornire energia pulita e sostenibile per l’illuminazione, l’aria condizionata ed altro. È importante considerare anche che l’installazione di pannelli solari può ridurre i costi di approvvigionamento energetico.

Riduci gli sprechi

La riduzione degli sprechi è un altro modo efficace per rendere il tuo negozio più sostenibile.

Riducendo gli sprechi non solo aiutiamo l’ambiente, ma possiamo anche ridurre i costi operativi di una attività commerciale.

Ci sono diverse azioni che puoi intraprendere in questo senso. Ad esempio puoi ridurre gli sprechi relativi agli imballaggi scegliendo materiali più sostenibili come carta riciclata o cartone.

Un’altra buona ideaè quella di ridurre gli sprechi di energia in negozio, ad esempio spegnendo le luci di giorno e gli elettrodomestici quando non sono in uso (pensa ad esempio ad un negozio che vende TV e ne tiene decine accese senza motivo).

Tutte queste piccole azioni possono contribuire a ridurre significativamente il consumo energetico e i costi operativi.

Scegli materiali sostenibili

La scelta di materiali sostenibili è probabilmente il miglior modo per rendere il tuo negozio più attento all’ambiente.

Puoi scegliere per questo arredi e accessori che vengono prodotti con materiali riciclati, biodegradabili o provenienti da fonti rinnovabili.

In questo periodo vanno molto di moda gli espositori in cartone ad esempio, ecologici al massimo e resistenti allo stesso tempo.

Scegli inoltre prodotti biodegradabili per l’imballaggio di ciò  che vendi. Ad esempio, se vendi generi alimentari quali frutta e verdura, potresti preferire dei fogli di carta uso alimentare per avvolgere i prodotti, anziché adoperare la pellicola di plastica.

Opta per il trasporto sostenibile

Promuovere il trasporto sostenibile è un altro modo per rendere il tuo negozio più sostenibile.

Il trasporto sostenibile può ridurre le emissioni inquinanti e migliorare la qualità dell’aria. Ci sono diverse cose che puoi fare per promuovere il trasporto sostenibile nella tua attività.

Potresti ad esempio offrire incentivi ai tuoi dipendenti e clienti per raggiungere il punto vendita utilizzando mezzi di trasporto sostenibili come biciclette, mezzi pubblici o auto elettriche.

A tal proposito potresti anche creare un parcheggio per biciclette vicino al tuo negozio, in modo da rendere più facile per i tuoi clienti e dipendenti parcheggiare il mezzo.

Conclusioni

In sintesi, ci sono diverse cose che puoi fare per rendere il tuo negozio più sostenibile. Quelle di cui abbiamo parlato oggi sono solo alcune delle idee che puoi adottare per contribuire a rispettare la natura se gestisci una attività commerciale.

Oltre a migliorare l’impatto ambientale del tuo negozio, tali azioni possono anche migliorare la percezione del tuo marchio e attirare più clienti che ben vedono le aziende che si impegnano per l’ambiente.

Ricorda infine che ogni piccola azione conta e che anche i piccoli cambiamenti possono fare una grande differenza!

L’economia resta fragile, i consumi in lieve recupero

La buona tenuta del mercato del lavoro e i risultati positivi del mercato turistico, soprattutto incoming, spingono i consumi in lieve recupero, ma permane la lentezza nel rientro della fiammata inflazionistica e si assiste al lieve calo su base mensile del Pil.
Sono i principali risultati emersi dalla Congiuntura Confcommercio relativa al mese di maggio 2023, che per i consumi indica ad aprile un lieve aumento rispetto al mese precedente, Questo, grazie esclusivamente ai Servizi, che segnano un +4,5% rispetto al -1,5% dei Beni. E se la domanda di autovetture si conferma in ripresa resta negativa la dinamica di consumi alimentari, energia elettrica e mobili. 

Pil mensile a -0,2%

Secondo le stime dell’Ufficio Studi Confcommercio il Pil, rispetto ad aprile, dovrebbe subire una diminuzione dello 0,2%. Su base annua questo andamento si tradurrebbe in una crescita dell’1,5%.
Le famiglie continuano, al di là delle criticità indotte dall’inflazione sui bilanci familiari, nel percorso di recupero della domanda favorendo le voci di spesa che considerano più rappresentative della ritrovata ‘libertà’. Nonostante i progressi, anche i dati dell’ultimo mese confermano le difficoltà dei consumi in volume calcolati nella metrica dell’ICC a tornare ai livelli pre-Covid. Per alcuni segmenti le deboli dinamiche degli ultimi periodi sembrano aver contribuito ad aumentare la distanza, ponendo seri dubbi sulla possibilità di tornare nel 2024 sui livelli del 2019.

Le dinamiche tendenziali

Anche ad aprile 2023 la domanda delle famiglie è stata sostenuta principalmente dal recupero della componente relativa ai Servizi, anche se per servizi ricreativi, alberghieri e della ristorazione la distanza percentuale con i volumi registrati nello stesso periodo del 2019 supera ancora le due cifre. Relativamente ai consumi di Beni, dopo la stagnazione di marzo la domanda è tornata a registrare un ridimensionamento nel confronto annuo. Ad aprile la stima per l’aggregato è -0,4%. Il settore Automotive si conferma il più dinamico, con una variazione tendenziale del 16,9%. I recuperi degli ultimi mesi hanno comunque solo parzialmente ridotto la distanza con i livelli di spesa reale del 2019. Tra le altre voci si conferma in netta riduzione la domanda per energia elettrica (-7%), mobili (-7,8%), alimentari (-3%) ed elettrodomestici (-0,8%). Relativamente ad abbigliamento e calzature il modesto segnale di recupero (+0,7%) non attenua le difficoltà del settore.

Prezzi al consumo, tendenze a breve termine

Sulla base delle dinamiche registrate dalle diverse variabili che concorrono alla formazione dei prezzi al consumo l’Ufficio Studi stima per maggio un +0,5% in termini congiunturali e +7,8% su base annua. Nonostante il moderato ridimensionamento del tasso di crescita tendenziale dei prezzi, si confermano le difficoltà dell’inflazione a instradarsi su un sentiero di rapido rientro. Le prime indicazioni di un’evoluzione più contenuta dell’inflazione di fondo consolidano, comunque, le attese di una parte finale del 2023 più favorevole. Tale evoluzione potrebbe agevolare le famiglie nel percorso di recupero della domanda, favorendo il mantenimento di tassi di crescita dell’economia in linea con quelli registrati nella prima parte dell’anno.

Voucher Lavoro Occasionale: cosa cambia nel 2023?

Cos’è il Voucher per il Lavoro Occasionale? È un titolo di pagamento elettronico che permette alle aziende di retribuire il lavoro occasionale tramite un ‘buono’. Il Voucher per il Lavoro Occasionale è stato introdotto con il decreto legislativo 81/2015, e sostituisce i vecchi buoni lavoro, in modo da rendere più semplice e trasparente il pagamento del lavoro non continuativo. Ma il Voucher Lavoro Occasionale 2023 è uno strumento introdotto dal Governo anche per incentivare e regolamentare il lavoro occasionale.


Quanto “vale” e dove richiederlo


Il Voucher Lavoro può essere utilizzato per retribuire prestazioni di lavoro occasionale, come ad esempio, pulizie, giardinaggio, baby-sitting, assistenza agli anziani e lavori saltuari. Colf, badanti e baby-sitter sono tra le persone direttamente interessate alla misura. Il valore del Voucher Lavoro Occasionale 2023 è di 10 euro. In pratica, per retribuire un’ora di lavoro al costo di 10 euro bisogna utilizzare un Voucher. I Voucher Lavoro Occasionale possono essere acquistati presso gli uffici postali, le tabaccherie e gli esercenti autorizzati.

Eliminato il limite di utilizzo


Per il 2023 sono state introdotte nuove disposizioni per quanto riguarda l’utilizzo, come ad esempio la possibilità di utilizzare i voucher per retribuire anche i lavoratori autonomi e non solo i lavoratori dipendenti. Inoltre, è stato eliminato il limite di utilizzo dei voucher, che prima era fissato a 5.000 euro per anno solare per ciascun utilizzatore. Per richiedere il Voucher Lavoro Occasionale 2023 è necessario recarsi presso un ufficio postale, una tabaccheria o un esercente autorizzato e fornire i propri dati anagrafici e il proprio codice fiscale. Una volta acquistati i voucher, questi hanno un codice univoco che può essere utilizzato per retribuire il lavoratore. Inoltre, è possibile richiedere il Voucher Lavoro Occasionale 2023 anche online tramite il sito dell’INPS, fornendo i propri dati personali e il codice fiscale del lavoratore.

I vantaggi per il datore di lavoro

Il Voucher presenta numerosi vantaggi sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori. Per i datori di lavoro, il Voucher semplifica la gestione del lavoro occasionale, in quanto non è necessario registrare il lavoratore e non sono dovuti contributi previdenziali. Inoltre, consente di retribuire il lavoro occasionale in modo trasparente e in regola con la normativa vigente. Per i lavoratori, invece, garantisce una retribuzione per il lavoro svolto e consente di accumulare contributi previdenziali.
Con le nuove disposizioni introdotte per il 2023, il Voucher Lavoro Occasionale diventa ancora più flessibile e accessibile, sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori.

Contenuti digitali: nel 2022 oltre 3,3 miliardi di euro di spesa 

In Italia nel 2022 la spesa dei consumatori in contenuti digitali d’informazione e intrattenimento supera 3,3 miliardi di euro, +12% rispetto al 2021. Nonostante un calo del numero di utenti, aumenta il tempo medio dedicato alla fruizione dei contenuti (tranne magazine e quotidiani), e continua la crescita del mercato PAID, più che raddoppiato nell’arco di 5 anni. Oggi il 45% degli internet user fruisce di contenuti a pagamento, in abbonamento e tramite acquisti singoli. Il video intrattenimento è il contenuto più fruito (42%), ma il consumatore è più disposto a spendere anche per eBook, e per musica in abbonamento. Queste alcune evidenze emerse dall’Osservatorio Digital Content, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano.

Video Entertainment e Audio

Il Video Entertainment è il secondo settore dopo il Gaming per incidenza sul totale della spesa, e cresce con il ritmo più elevato: +33% (oltre 1,3 miliardi). Il modello predominante resta quello basato sulla sottoscrizione di abbonamenti a piattaforme SVOD, mentre il modello TVOD genera una piccola percentuale della spesa complessiva. Riscontra poi sempre più attenzione il modello ‘adv-based’, grazie a nuove iniziative AVOD e lo sviluppo di canali FAST (Fast Ad Supported Tv).
L’Audio cresce del +16% (277 milioni). La musica si conferma il contenuto più maturo, e la spesa del consumatore incide per l’83% del totale. Per i contenuti musicali è ampiamente dominante la fruizione in streaming, con modelli ‘all you can listen’. I podcast sono responsabili di una quota marginale della spesa, mentre crescono gli audiolibri, soprattutto per l’entrata di nuovi player e l’aumento dei contenuti.

News&eBook e Gaming

Anche News&eBook generano un valore di spesa ancora marginale: per il 2022 si stima una crescita del +2% (164 milioni). Il mondo del Gaming, responsabile di quasi la metà della spesa totale dei consumatori (oltre 1,5 miliardi), registra per la prima volta una lieve contrazione (-1%). Grazie alle restrizioni pandemiche aveva guadagnato grande popolarità nel 2020, ma con il graduale scemare dell’emergenza sanitaria si registra un calo nel numero di giocatori, e ci si aspetta un consolidamento del mercato intorno ai risultati ottenuti nel 2021. Inoltre, frenano lo sviluppo del settore anche la crisi dei semiconduttori e la mancata regolamentazione del fenomeno eSports. 

Le direttrici di innovazione

Molte aziende puntano a una revisione dei modelli di business per offrire al consumatore una nuova esperienza. Nell’audio digitale sono sempre più numerose le partnership tra aziende del settore automotive, nell’editoria si valutano nuove forme di coinvolgimento dei lettori volte a promuovere nuovi canali e forme di diffusione dei contenuti, in particolare il podcast. Nel video, invece, si assiste al superamento della dicotomia abbonamento e pubblicità. Tendenza confermata dalle scelte di ‘modelli ibridi’ delle grandi piattaforme.
Sul fronte tecnologico l’utilizzo di soluzioni avanzate. Crescono le sperimentazioni tramite l’utilizzo di AI per la creazione di tracce musicali e vocali, e contenuti editoriali. E aumentano le sperimentazioni con la tecnologia blockchain, soprattutto nel mondo dell’editoria.

Influence marketing: un mercato da quasi 300 milioni di euro

In Italia il comparto dell’influence marketing vale ormai quasi 300 milioni di euro, in crescita dell’8% nel corso del 2022. Proprio all’influence marketing è stata dedicata la prima edizione dell’Influence Day, l’evento ideato da Flu e patrocinato dal Comune di Milano, inserito a novembre all’interno del palinsesto di eventi della Milano Digital Week 2022. Per l’occasione BVA Doxa ha presentato la ricerca dal titolo Follower e influencer: quale relazione possibile?, condotta con l’obiettivo di indagare la relazione tra influencer e follower, e come i primi siano in grado di influenzare l’acquisto di prodotti presso la propria community.

Follower e influencer su Instagram

La ricerca ha coinvolto un campione di 1.000 individui, utenti di Instagram e follower di almeno un influencer o personaggio famoso. Ma cosa rende gli influencer efficaci in termini di persuasione all’acquisto? Cosa apprezza il consumatore, e quali sono le potenzialità e i rischi per le aziende?
Dalla ricerca emerge come ciascun utente segua in media 18 influencer, di cui due terzi sono italiani. Il 53% degli user di Instagram segue middleinfluencer, ovvero con un numero di follower tra i 500 mila e 1 milione di follower, il 15% i micro-influencer, con follower sotto la soglia di 500.000, e il 32% segue influencer con oltre 1 milione di follower.

Trasparenza nella sponsorizzazione

Il 55% degli user considera importante che gli influencer coinvolgano i propri follower, e l’engagement è particolarmente apprezzato dal target femminile (58%) e dai follower dei micro-influencer (59%). L’83% dichiara poi che il post dell’influencer è il punto di partenza per un successivo acquisto, mentre quanto ai brand, i follower si aspettano che gli influencer siano trasparenti. Questo, in particolare, per il 40% degli utenti. Ma il dato più importante è che i follower, seppur consapevoli che si tratti di sponsorizzazioni, ne traggono ciò che di utile ne può derivare, per conoscere un nuovo prodotto o per approfondirne le caratteristiche.

Sfruttare il potenziale dell’ambassador

Se il tutto è gestito con trasparenza, e con lo stile tipico dell’influencer, le sponsorizzazioni sono apprezzate dal 62% del campione. In termini di erosione di fiducia nei confronti del brand, il 40% afferma che non ci sono formati o modalità di sponsorizzazione che possono davvero intaccare l’opinione nei confronti del brand. Pertanto, il consiglio per le aziende è quello di sperimentare, lasciando agli influencer o creator la possibilità di impostare la sponsorizzazione nella maniera più genuina possibile. Solo così il loro effetto di ambassador vedrà il suo pieno potenziale.

Riduco, rinvio, rinuncio e risparmio: le 4 R che guidano il consumatore non food

Quali sono le leve che muovono gli utenti italiani verso un acquisto non food? Dopo un ottimo 2021,  che ha visto tutti i 13 comparti merceologici analizzati dall’Osservatorio Non Food 2022 di GS1 Italy1 aumentare le vendite annue (+12,0%) e superato i valori pre-pandemia (+2,2% nel quinquennio) arrivando a quota 104,7 miliardi di euro, il 2022 si presenta con una situazione molto differente. Dato lo scenario attuale, l’obiettivo del macrocomparto Non Food è quello di garantire ai consumatori l’accessibilità ai prodotti non alimentari – dai cosmetici agli elettrodomestici, dai mobili agli smartphone, dai casalinghi ai capi di abbigliamento, dalle attrezzature sportive ai televisori – quelli che, per loro natura, non sono acquisti strettamente indispensabili e che, quindi, sono i primi a essere messi in discussione quando si ha (o si teme di avere in prospettiva) una minore capacità di spesa. 

La ricerca dell’affare

Quali sono le strategie adottate dai nostri connazionali per fare acquisti in ambito non alimentare, ovviamente cercando sempre le migliori condizioni?. In primis, partendo dal confronto sui prezzi praticati sia nei negozi fisici che nei siti e nelle piattaforme online, rivela l’Osservatorio Non Food 2022 di GS1 Italy. Tra il 35 e il 45% degli shopper si informa del prezzo direttamente in negozio davanti allo scaffale e circa il 20% si informa con quello esposto in vetrina (in particolare per abbigliamento, profumeria, ottica e arredamento). Allo stesso tempo, c’è una significativa quota di consumatori che si informa dei prezzi attraverso i canali online, ad esempio sui siti specializzati in e-commerce (come Amazon) soprattutto per elettronica e giocattoli (circa il 45% dei casi), sugli e-shop delle catene specializzate e sui motori di ricerca (come Google), in particolare per elettrodomestici, elettronica e articoli per lo sport con circa il 30% dei casi. La convenienza è il plus che porta a scegliere i siti di e-commerce, a partire dai pure player dell’online. Circa la metà degli shopper cerca su internet i prezzi più bassi e dal 30% al 40%, a seconda dei comparti, viene attratto dalle offerte promozionali.
Nella rete fisica il livello dei prezzi e, soprattutto, di quelli in volantino è in quasi tutte le merceologie il motivo principale che fa scegliere di acquistare negli ipermercati o nei supermercati di grandi dimensioni, in particolare alcune merceologie (come i libri best seller, la cartoleria e l’edutainment in genere) e in alcuni periodi dell’anno, come Natale. Le offerte promozionali sono determinanti anche per spingere gli acquisti nei negozi specializzati e nei discount.

Il ruolo dei bonus dello Stato

Un’altra strada individuata dagli italiani per comprare risparmiando è approfittare delle detrazioni fiscali e dei bonus concessi dallo Stato. L’Osservatorio Non Food 2022 di GS1 Italy ne ha rilevato gli effetti in diversi settori. Gli incentivi legati alle ristrutturazioni edilizie hanno impattato sulle vendite di grandi elettrodomestici (+18,8% i bianchi, +35,9% i bruni), di mobili (+17,0%), di bricolage (+6,8%) e di edilizia fai-da-te (+5,7%). Il Bonus Cultura 18app ha influito sulla spesa per i supporti musicali (+24,0%) e per i libri non scolastici (+10,4%), mentre il Bonus Vista su quella per prodotti di ottica (+16,1%).

Italia in ritardo su formazione digitale: solo il 46% ha competenza di base

L’ingresso delle tecnologie digitali nei comparti manifatturiero e agricolo a livello mondiale ha avviato una vera e propria rivoluzione industriale. Una rivoluzione che presenta numerose opportunità per l’Italia e le sue aziende, ma anche tante sfide a cui istituzioni, aziende e stakeholder devono rispondere in maniera coordinata. Su tutte, la sfida numero 1 è quella delle competenze, l’elemento necessario per essere competitivi in mercati sempre più dinamici e la leva che garantisce una maggiore inclusione economico e sociale È questo il principio che ha guidato la realizzazione dello Studio Verso un New Deal delle Competenze in ambito agricolo e industriale, elaborato da The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Philip Morris Italia.

Al 24° posto nell’indice Desi della Commissione Europea 

L’obiettivo dello studio è quello di definire gli elementi per un New Deal delle competenze legate alle tecnologie 4.0. Di fatto, l’Italia risulta in ritardo sulle competenze digitali, sia per quanto riguarda la formazione in ingresso sia per quanto riguarda la formazione permanente. Il Paese risulta 24° su 27 nell’indice Digital Economy and Society Index (Desi) della Commissione Europea, con una performance particolarmente deludente sul fronte del capitale umano digitale.
Il nostro ritardo digitale è particolarmente forte nelle competenze, dove l’Italia si posiziona terzultima in Europa con appena il 46% della popolazione adulta con competenze digitali di base. Il ritardo è confermato anche da altri indicatori chiave, tra cui il numero di laureati in corsi di laurea Ict e discipline Stem, nonché da un importante divario di genere: solo il 17% dei professionisti Ict è donna.

Competenze 4.0: aziende agricole più soddisfatte delle manifatturiere

Manifattura e agricoltura intelligente sono una direttrice imprescindibile per il successo del Paese: il 97% delle aziende manifatturiere e il 98% di quelle agricole ha implementato progetti di digitalizzazione dei processi produttivi. Sulle competenze 4.0, le aziende agricole risultano più soddisfatte di quelle manifatturiere per il livello di competenze sviluppate dal sistema scolastico e per l’importanza della formazione on-the-job.
Il 54% delle aziende agricole è infatti soddisfatto delle competenze dei laureati e il 48% di quelle dei diplomati. Molto diversi, invece, i risultati in ambito manifatturiero, dove appena il 26% è soddisfatto delle competenze dei diplomati e il 40% di quelle dei laureati.

Come ridurre il gap con i partner internazionali?

L’Italia inoltre registra un gap significativo con i partner internazionali rispetto alla formazione tecnica post-scuola e quella continua, riporta Adnkronos. Il numero di iscritti al sistema italiano degli Its dovrebbe infatti crescere 40 volte per essere al passo con quello tedesco. Ma l’Italia risulta particolarmente debole anche rispetto alla formazione continua, elemento chiave per mantenere alta la competitività. Le priorità su cui investire per l’agricoltura intelligente risultano quindi le competenze su sostenibilità, digitale, comunicazione e competenze tecniche avanzate. Per la manifattura sono invece prioritarie le competenze Ict avanzate, Ai e Machine learning, Data Science e Project management, senza trascurare le competenze soft, quali la multidisciplinarità e l’imprenditorialità.

Caro carburanti: preoccupazione per il bilancio familiare

Il Centro Studi di AutoScout24 ha indagato il sentiment degli automobilisti e l’impatto dell’aumento dei prezzi sulle abitudini di utilizzo dell’auto. Il primo aspetto che emerge è la conferma del ruolo centrale dell’auto, utilizzata dal 93% degli italiani per i propri spostamenti dovuti a esigenze familiari (65%) o per il tragitto casa-lavoro. L’86% dei consumatori è molto o abbastanza preoccupata per l’aumento dei prezzi dei carburanti, soprattutto per l’incidenza sul bilancio familiare, e oltre la metà ritiene l’ultimo provvedimento del Governo insufficiente. Il 73% degli italiani usa infatti l’auto più di 5 giorni a settimana, il 69% percorre più di 10mila chilometri all’anno, quasi sei su dieci spendono in media tra i 100 e i 300 euro al mese di carburante, e il 15% supera i 300 euro.

Le abitudini degli automobilisti sono cambiate?

Al momento questa situazione ha avuto un impatto sulle abitudini di utilizzo dell’auto solo sul 37% del campione, ma in futuro potrebbe aumentare (63%) se non verranno presi provvedimenti e i costi dovessero salire ulteriormente. Per ora il 38% cerca di ridurre l’uso di auto benzina/diesel per il tempo libero, ma il vero cambiamento riguarda l’adozione di comportamenti virtuosi, come un diverso approccio alla guida e maggiore attenzione al risparmio. Circa un terzo, infatti, sceglie il distributore in base al prezzo più economico e il 27% tende a fare rifornimento esclusivamente al self service. Il 29% guida in modo ‘soft’ per ridurre i consumi, e un quinto monitora attentamente le spese mensili. Il 16% ha poi iniziato a usare app dedicate o il web per individuare le stazioni più economiche.

E sul fronte vendite?

Solo il 16% ha deciso di non acquistare più un’auto a causa del caro carburanti, mentre tra chi ha confermato l’intenzione all’acquisto l’aumento dei prezzi non ha influito nella scelta del tipo di alimentazione (74%). Quasi due su dieci si stanno spostando da vetture ‘tradizionali’ verso vetture che consumino meno, e il 9% da vetture tradizionali a ibride/elettriche. Le elettriche ‘pure’ rappresentano una quota minima: gli italiani dichiarano di non voler acquistarle principalmente a causa della scarsa autonomia delle batterie (39%) e per il costo elevato (24%).

Capitolo viaggi

Sui viaggi il caro carburanti ha avuto sicuramente un impatto: il 22% dei rispondenti aveva intenzione di andare in vacanza, ma ha cambiato idea proprio per l’aumento del costo della benzina.
Eppure, nella scelta del mezzo per i viaggi gli italiani non hanno dubbi. L’auto è il mezzo preferito (88%), per la possibilità di partire quando si vuole (83%), e per la libertà e la flessibilità che consente (33%). Ma escludendo i fedelissimi (30%), che non rinuncerebbero mai alla comodità dell’auto, oltre la metà del campione in caso di aumenti userà l’auto solo se non avrà alternative, e il 18% valuterà attentamente mezzi alternativi scegliendo il più economico.

Le imprese estere in Italia generano 1/5 del fatturato industria e servizi

Sono 15.779 le imprese a controllo estero in Italia. Ma se corrispondono solo allo 0,4% del totale delle imprese residenti, rappresentano un driver fondamentale di crescita del sistema produttivo e dell’economia del nostro Paese. Generano infatti da sole il 19,3% del fatturato nazionale del settore dell’industria e dei servizi, pari a 624 miliardi di euro. E nel decennio 2009-19 il numero degli occupati delle multinazionali estere è cresciuto del 23,6% (+289mila addetti), raggiungendo 1,5 milioni di dipendenti, l’8,7% del totale degli occupati delle imprese a livello nazionale. Lo rileva il report Le imprese estere in Italia e i nuovi paradigmi della competitività, dell’Osservatorio Imprese Estere, nato per iniziativa dell’Advisory Board Investitori Esteri (Abie) di Confindustria.

Quasi il 70% di incremento del valore aggiunto

Sempre nel periodo 2009-19, le imprese estere hanno registrato un incremento del valore aggiunto di quasi il 70%, passando dai 79 miliardi di euro del 2009 ai 134 miliardi di euro del 2019 (+55 miliardi), con una crescita anche della quota sul totale del Paese, passata dal 12,6% al 16,3%. Significa che le imprese estere hanno contributo quasi al 30% dell’incremento del valore aggiunto nel decennio considerato. Altrettanto rilevante anche l’apporto di queste imprese agli scambi commerciali con l’estero, toccando quasi un terzo (32%) delle esportazioni, e oltre il 46% delle importazioni realizzate dal complesso delle imprese residenti in Italia.

Una significativa propensione a investire e innovare

Le multinazionali a capitale estero si distinguono poi per una significativa propensione a investire nel Paese e a innovare, fornendo un importante impulso al settore Ricerca & Sviluppo, grazie all’investimento complessivo di 4,3 miliardi di euro nel 2019, pari al 26% del totale della spesa per la ricerca privata realizzata in Italia.
Le imprese estere operano prevalentemente in settori con tecnologia più elevata e partecipano al trasferimento tecnologico da e verso le imprese domestiche, che sono incentivate all’introduzione di nuovi processi produttivi e al miglioramento delle competenze. Inoltre, spesso assumono il ruolo di lead firm anche sui segmenti della filiera produttiva non direttamente integrati all’interno del perimetro societario. Le maggiori dimensioni e l’appartenenza a Gruppi con sedi in diversi Paesi non solo rendono le multinazionali complementari rispetto al tessuto industriale italiano, ma favoriscono l’internazionalizzazione del sistema produttivo del Paese.

Forte sensibilità ai temi della sostenibilità ambientale

L’organizzazione manageriale tipica delle multinazionali, riporta Adnkronos, è un fattore particolarmente rilevante ai fini di una migliore capacità di gestione di investimenti complessi. Non sorprende pertanto se grazie al loro assetto organizzativo e alla loro presenza internazionale, le multinazionali si contraddistinguano anche per una forte sensibilità ai temi della sostenibilità ambientale. Questi elementi, uniti a una naturale disposizione a flessibilità e innovazione, rendono le imprese a controllo estero resilienti di fronte alle sfide di oggi e del futuro: dalla riorganizzazione delle modalità lavorative fino alla transizione ecologica e digitale.

Il 41% degli italiani vuole passare meno tempo online

Molti italiani vorrebbero ridurre il tempo trascorso online. Rispetto alla media globale (33%, il 41% degli italiani si dice infatti pronto a passare meno tempo connesso a Internet. Questo, nonostante al contempo aumenti la domanda di connettività, contenuti tv e streaming. Uno dei motivi è rilevabile nel temuto aumento dei prezzi degli abbonamenti mensili ai servizi di connettività (lo dichiara il 63% degli italiani), mentre il 44% teme di pagare troppo per contenuti che non guarda. È quanto emerge dall’EY Decoding the digital home study, ricerca condotta su 2.500 famiglie in Italia e più di 20.000 a livello globale. “Il tempo trascorso online si sta stabilizzando se non addirittura riducendo, a fronte di un aumento degli standard qualitativi richiesti dagli utenti in termini di servizi e contenuti”, commenta Irene Pipola, Italy TMT Leader di EY.

Per sei su dieci il prezzo è il fattore primario

Per sei italiani su dieci, il prezzo è il fattore primario nella scelta di un servizio in streaming. Seguono la specificità del contenuto (41%) e l’ampiezza dell’offerta (38%). In attesa di questa maturazione qualitativa, a oggi il prezzo resta l’elemento chiave. E per battere la concorrenza, il trend è chiaro: si applicano sconti e si accorpano i servizi in pacchetti. La propensione all’acquisto dei cosiddetti bundle sta crescendo in Italia a un ritmo più sostenuto rispetto al 2021 (87% contro il 74%). Se l’attenzione alla convenienza è una costante (il 53% delle famiglie è interessato agli sconti) stanno cambiando le esigenze: circa la metà degli intervistati sarebbe infatti interessata ad acquistare, insieme alla rete fissa, servizi tv o servizi di sicurezza online e tutela della privacy.

Mancanza di chiarezza per il contenuto delle offerte

Ancora oggi però molte famiglie faticano però a comprendere il contenuto delle offerte e le differenze tra i servizi proposti. Sorprende che questo fenomeno riguardi soprattutto i più giovani (35% fra i 18-24 anni), che ritengono le offerte dei servizi di telecomunicazione difficili da comprendere.
Una conferma della mancanza di chiarezza arriva anche dall’analisi delle offerte per i nuovi clienti: uno su due reputa difficile comprendere quale sia il pacchetto migliore. La confusione si traduce anche in scarsa fedeltà: circa un quarto dei clienti prevede di cambiare il proprio fornitore di servizi internet, linea mobile o video streaming e pay tv nei prossimi 12 mesi.

Preoccupazioni per la privacy, il benessere e la sostenibilità

Quanto alla privacy, riferisce AGI, il 63% degli italiani afferma di essere estremamente prudente nel condividere informazioni personali online. Gli utenti sono preoccupati anche per l’intreccio tra tecnologie e benessere: uno su tre pensa spesso all’impatto negativo di internet sul proprio benessere psicofisico (41% tra i 18-24 anni). Emergono poi forti preoccupazioni per i contenuti illeciti. Il 61% ritiene che i governi e le autorità di regolamentazione non stiano facendo abbastanza per contrastare la diffusione di contenuti dannosi online. La platea digitale italiana si dimostra attenta anche alla sostenibilità. Il 38% è disposto a pagare di più per prodotti sostenibili, ma il 43% ritiene che gli operatori non stiano facendo abbastanza per l’ambiente.