Genitori: il nuovo protagonismo dei papà italiani

In occasione della Festa del papà è stata rilasciata l’ultima edizione dell’Osservatorio Eumetra Parents (and Grandparents), che offre una fotografia dei padri italiani oggi, tra preoccupazioni, aspirazioni e cambiamento del proprio ruolo all’interno della famiglia moderna. 

Di fatto, il 77% dei papà italiani è preoccupato per il futuro, con un picco di ansia (85%) tra coloro che hanno figli tra 0 e 3 anni. La principale fonte di preoccupazione è il tema economico, con un occhio particolare al rialzo dei prezzi (56%) e all’andamento dell’economia italiana (41%), seguiti dal cambiamento climatico (39%). 
E sebbene il 61% dei papà indichi una stabilità delle entrate, il 51% riferisce una diminuzione dei risparmi della famiglia.

Desiderio di maggior protagonismo nella famiglia

“Il nostro Osservatorio – sottolinea Matteo Lucchi, ceo Eumetra – mette in luce un chiaro cambiamento all’interno delle dinamiche famigliari. I papà mostrano un maggior desiderio di protagonismo, anche nelle scelte o attività di cura quotidiana dei figli”.
Sebbene l’81% dei papà consideri il lavoro come chiave per la realizzazione personale, lo studio mostra come una percentuale non altrettanto elevata ritenga il proprio ruolo nella famiglia già sufficiente a questo scopo.

Il 91% pone i figli al primo posto, l’82% si sente realizzato come genitore, ma il 61% si sente sotto pressione o stressato. Nonostante ciò, quasi la metà dei papà si assegnerebbe un voto eccellente come genitore (tra 8 e 10), con una media complessiva di 7,4. Ancora: l’82% afferma di non annoiarsi mai con i propri figli e il 74% impone regole rigorose.

Conciliare lavoro e vita privata

La questione di una maggiore conciliazione tra lavoro e genitorialità è sentita anche tra i papà, con il 39% che richiede maggiori supporti familiari e il 31% che riconosce la necessità di compromessi.

Come incentivo a un maggiore sviluppo della genitorialità tra le giovani generazioni, i papà mettono al primo posto un lavoro stabile e sicuro (24%), seguito da uno stipendio adeguato (22%), con solo il 16% che considera cruciale il sostegno economico dello Stato (tuttavia, il 52% lo giudica sufficiente).

La genitorialità di oggi tra smartphone e questioni di genere

Sulle questioni di genere, il 61% sostiene che sia giusto acquistare oggetti ‘appropriati’ per bambine e bambini, mentre l’uso di smartphone e tablet come supporto nel gestire i figli è una realtà per il 53% dei papà.
La gestione quotidiana della casa vede un impegno equo del 51% dei padri, con un 69% che condivide decisioni e responsabilità con la madre.

Per quanto riguarda gli acquisti, c’è una divisione dei compiti: alimentazione (66%), puericultura pesante (75%), giochi (78%), materiale scolastico (66%), farmaci (72%) e vacanze (75%).
Inoltre, l’81% dei papà parla o parlerà di sostenibilità con i figli, l’83% di inclusione e diversità e il 31% effettua acquisti tenendo conto della sostenibilità del prodotto.

Salute mentale, un problema diffuso in tutto il mondo

La salute mentale continua a essere un tema delicatissimo su scala globale. Un dato rappresentativo dell’entità del fenomeno: il 32% della popolazione mondiale segnala disturbi mentali, con un aumento di 5 punti percentuali rispetto al 2022. In Italia, sebbene la quota sia inferiore (28%), si registra un incremento di 6 punti rispetto all’anno precedente. Questi sono i risultati della quarta edizione del Mind Health Report condotta da Ipsos per AXA in 16 Paesi, incluso l’Italia.

La consapevolezza sul tema è ancora scarsa

In questo contesto, un ulteriore elemento di preoccupazione è la scarsa consapevolezza sull’argomento e soprattutto un crescente ricorso all’autodiagnosi e all’autogestione. I problemi legati al benessere mentale correlati al lavoro stanno raggiungendo livelli critici. Eppure, nella percezione generale, il lavoro non è ritenuto la principale causa di tali difficoltà.

In Italia, c’è ancora molto da fare per quanto riguarda il supporto e le soluzioni per la salute mentale sul luogo di lavoro. Per il 50% dei lavoratori, le risposte offerte in tema di salute mentale influenzano positivamente la decisione di rimanere in azienda.

Cosa accade in Italia

La preoccupazione per la salute mentale persiste sia a livello globale sia nazionale. In Italia, nel corso degli ultimi 12 mesi, il 28% dei nostri connazionali ha sperimentato una qualche forma di malessere o disturbo mentale, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente. L’ansia è il disturbo più comune (14%), seguita dalla depressione (12%).

Il 44% degli italiani sceglie di autogestire i disturbi relativi al benessere mentale, un trend in aumento del 7% rispetto al 2022. Tuttavia, un terzo delle persone potenzialmente sofferenti di depressione, ansia o stress non ha consultato un medico quest’anno.

Salute mentale sul luogo di lavoro

A livello globale, le difficoltà mentali sono principalmente attribuite a ragioni personali anziché professionali, ma in Italia il 76% dei lavoratori manifesta almeno un disturbo correlato al lavoro. Il disimpegno sul lavoro è uno dei segnali critici che le aziende dovrebbero prendere in considerazione.

Più della metà dei lavoratori italiani ritiene che le aziende non si preoccupino della salute mentale dei dipendenti, e un terzo è insoddisfatto delle azioni intraprese. Tra le maggiori richieste, una giornata dedicata al benessere mentale e consulti specialistici esterni, guardati con particolare interesse soprattutto dalle donne e dai giovani (18-24). Il supporto offerto in tema di salute mentale impatta comunque positivamente sulla decisione di rimanere in azienda: la pensa così il 50% degli italiani, soprattutto giovani (71% nella fascia 18-24 anni).

Nuova occupazione: uomini e donne la cercano in modi diversi 

Gli uomini e le donne sono diversi, anche quando si tratta di scelte professionali. Il dato emerge da un’indagine condotta dal Centro Studi di Fòrema, ente di formazione del sistema confindustriale veneto, che ha approfondito le esigenze e le aspettative di coloro che cercano lavoro o desiderano cambiarlo, evidenziando notevoli differenze tra uomini e donne.

La ricerca, che ha coinvolto oltre oltre duecento persone tra corsisti e disoccupati, fornisce un quadro dettagliato del tema “Cosa ti serve per lavorare?” in un periodo caratterizzato dalle rivoluzioni green e digitali.

Chi pensa alla busta paga, chi alla soddisfazione personale

Gli uomini risultano più orientati alla busta paga, con il 51% che pone maggiore enfasi sulla sicurezza economica, rispetto al 45% delle donne. Le signore, invece, manifestano interessi più ampi e articolati: considerano infatti aspetti come la crescita professionale e umana (14% vs 11%), l’autorealizzazione (12% vs 10%), e la gestione delle competenze (8% vs 5%). Questo riflesso dei ruoli tradizionali di “breadwinner” evidenzia le diverse prospettive di uomini e donne anche sul lavoro.

La formazione è una priorità per le lavoratrici

Per quanto riguarda la formazione, le donne vi ripongono una maggiore fiducia, attribuendo maggiore importanza ai percorsi formativi rispetto agli uomini (55% vs 38%). Le competenze digitali risultano fondamentali per entrambi i generi, con il 56% delle donne e il 50% degli uomini che le ritengono cruciali.

La formazione tecnica è anch’essa ritenuta importante dal 47% degli intervistati, mentre il tirocinio formativo, fondamentale per il 73% del campione, risulta essere una metodologia apprezzata per sviluppare competenze direttamente in azienda.

I giovani puntano sulle skills tecniche e tecnologiche

Per i giovani, la formazione tecnica è prioritaria nel 75% dei casi, mentre le digital skills sono essenziali per tutte le fasce d’età. Inoltre, il tirocinio formativo gode del massimo favore da parte dei giovani (58%). Questo strumento rimane gradito anche dopo i 30 anni, con una percentuale del 42% fra gli intervistati che lo apprezza.

Le donne mostrano un grande interesse nell’accesso alle informazioni sul mercato del lavoro (62%), mentre i giovani manifestano un forte appeal nei confronti dei bonus (67%) come incentivo alla partecipazione alle attività. L’occupazione influisce sulla percezione degli strumenti proposti: il 50% di chi cerca lavoro lavoro li ritiene cruciali, contro il 34% di chi è già occupato. 

Per concludere

In conclusione, l’indagine offre uno sguardo approfondito sulla complessità delle motivazioni e delle aspettative legate al lavoro, evidenziando la necessità di rispondere alle esigenze differenziate di uomini, donne e giovani nel contesto che stiamo vivendo.

Percezione e realtà: che divario c’è e come le vivono i cittadini? 

Il divario tra la percezione e la realtà dei fatti è un fenomeno diffuso, come dimostra l’indagine Ipsos condotta su un campione 10.000 persone residenti in 10 Paesi, tra cui l’Italia. , L’obiettivo dell’analisi è testare le convinzioni delle persone su questioni sociali, politiche ed economiche confrontandole con i dati reali. le sorprese, ovviamente, non mancano.

Immigrazione, cultura, religione, criminalità : visioni distorte  

La percezione dell’immigrazione è distorta in tutti i Paesi esaminati. La media del divario tra percezione e realtà è del 24% rispetto al 12%, un fenomeno riscontrato anche in Italia (21% vs. 11%). Le percezioni errate riguardo alla presenza di musulmani sono evidenti. Mentre la cifra reale è del 3%, la percezione nei 9 paesi a maggioranza non musulmana è superiore al 17%. In Italia, la convinzione che il 19% sia musulmano contrasta con la realtà, dove sole il 4,8% pratica questa religione.

Anche per quanto concerne la criminalità c’è molto da dire. La maggioranza degli intervistati ritiene erroneamente che il tasso di omicidi sia aumentato dal 2000, sebbene sia diminuito in tutto il mondo, tranne negli Stati Uniti. In Italia, il 55% crede che gli omicidi siano aumentati negli ultimi vent’anni.

Disuguaglianza economica: un fenomeno sovrastimato

La percezione della disuguaglianza economica è sovrastimata. La quota di ricchezza detenuta dall’1% delle famiglie più abbienti è stimata al 36%, ma il dato reale è del 13%. Anche in Italia, il divario tra percezione e realtà è evidente (36% vs. 14%).

Teorie del complotto

Le credenze irrazionali coinvolgono oltre un quarto del campione nei dieci Paesi. In Italia, il 24% crede nei fantasmi, il 17% nella stregoneria e il 16% nella chiaroveggenza, percentuali inferiori alla media degli altri stati. Quasi la metà delle persone è sospettosa verso gli scienziati, preferendo affidarsi all’esperienza personale. In Italia, questa percentuale si attesta al 42%.

Alcune teorie del complotto, come un presunto progetto di sostituzione della popolazione con immigrati (24% in Italia), trovano riscontro tra il 15% e il 25% degli intervistati nei dieci Paesi. La diffidenza verso il governo ucraino (27% in Italia) e le teorie sulla falsità delle missioni spaziali americane (20% in Italia) sono altrettanto diffuse.

L’importanza di avere informazioni corrette

In sintesi, l’indagine evidenzia un divario significativo tra percezione e realtà in diverse sfere della società, sottolineando l’importanza di informazioni corrette e consapevolezza pubblica.

Bonus pet: anche nel 2024 nessuna svolta

In Italia non esiste un Sistema Veterinario Nazionale alla stregua di quello per gli umani, pertanto, quando l’amico a quattro zampe si ammala i conti sono piuttosto salati, e senza possibilità di costi calmierati.
Ma è possibile accedere a un Bonus Animali Domestici 2024 per risparmiare o recuperare i costi?

Purtroppo al momento non si può parlare di un vero e proprio Bonus per gli animali domestici, ma di una detrazione sulle spese già sostenute. Che sono piuttosto variabili: da poco meno di 100 euro per una prima visita ad alcune centinaia di euro per interventi di routine, come la sterilizzazione.
Per non parlare dei costi per interventi chirurgici straordinari, che possono richiedere anche l’esborso di diverse migliaia di euro.

Spese obbligatorie: dal microchip alle vaccinazioni

Spesso si tratta di circostanze impossibili da evitare. Come, ad esempio, il microchip obbligatorio previsto per i cani su tutto il territorio nazionale, oppure le vaccinazioni per prevenire determinate malattie. O ancora, l’insorgenza di patologie croniche dovute all’età dell’animale.
A tutto ciò si aggiunge un’alimentazione sana, costituita da prodotti di qualità che utilizzano materie prime certificate per far sì che la salute del pet non risenta troppo del passare del tempo.
In sostanza, secondo un’indagine effettuata da Federconsumatori per il mantenimento di un cane si possono spendere all’anno fra i 1.700 e i 2.500 euro, in base alla taglia e all’età, mentre per un gatto in media circa 1.200 euro annuali.

Detrazione sulle spese veterinarie

Nel corso degli anni si è discusso sulla possibilità di introdurre agevolazioni per consentire ai detentori di animali di recuperare almeno in parte le spese veterinarie sostenute.

La più ‘famosa’ risale al 2022, quando l’onorevole Michela Vittoria Brambilla aveva proposto un bonus di 150 l’anno per ciascun animale domestico iscritto all’anagrafe (fino a un massimo di tre) destinato a tutti coloro con reddito ISEE inferiore a 15.000 euro. Tuttavia, la proposta non è stata inserita nella Legge di Bilancio 2023.
Qualunque sia la spesa annuale destinata al pet c’è comunque la possibilità di recuperare in parte quanto sostenuto tramite la detrazione del 19% prevista a livello nazionale.

Requisiti per la detrazione

La legge prevede la possibilità di presentare al massimo 550 euro di spese sostenute alle quali viene sottratta una franchigia di 129,11 euro. Sul risultato, si applica la detrazione.

Presentando tutte le fatture accumulate per le prestazioni veterinarie si possono quindi ricevere fino a circa 80 euro di rimborso.
Tale agevolazione non è però prevista per tutte le spese sostenute per l’animale domestico, ma solo per le visite ambulatoriali effettuate dal veterinario, le analisi di laboratorio, gli esami diagnostici (come lastre ed ecografie), gli interventi chirurgici e i giorni di ricovero presso cliniche veterinarie.
Inoltre, i farmaci destinati agli animali, con o senza ricetta, purché siano acquistati in farmacia.

Auguri di Natale: cosa si augurano davvero gli italiani?

Gli italiani sono sempre più in affanno, e la condizione di precarietà si ripercuote anche sui buoni auspici che ci si augura a Natale. In un periodo di sfide globali che mettono a dura prova la società, emerge una profonda necessità di ritornare ai valori fondamentali e alle priorità più preziose.

Insomma, basta con i tradizionali “auguri a te e famiglia”. Ma cosa si augurano e augurano davvero gli italiani a Natale? La grande maggioranza, una vita senza stress e ansia (71%), poi prospettive lavorative migliori e stabili (59%), serenità di vivere in un mondo all’insegna della pace (66%) e salute per sé stessi e i propri cari (62%). Lo ha scoperto un’indagine promossa da Baci Perugina, e condotta su un campione di 1200 utenti web.

L’atmosfera è ideale per i buoni sentimenti

Il Natale è da sempre un periodo speciale, capace di portare serenità e magia, e far ‘rallentare’ quanto basta per riflettere sulle cose che veramente contano nella vita.
Il 64% degli intervistati attende il periodo natalizio poiché è un momento di pausa, dove alcuni gesti ricevono maggiore attenzione.

Ma non solo, c’è anche chi lo definisce ‘il periodo preferito dell’anno’ (56%) o chi lo accosta a un’atmosfera ideale per i buoni sentimenti (49%) e a sentire persone solitamente distanti (44%).

WhatsApp sostituisce biglietti e cartoncini scritti a mano

Ma come scrivono le frasi d’augurio e buon auspicio gli italiani?
Utilizzando frasi standard (25%), in modo personalizzato (24%), con citazioni d’autore (21%) oppure scegliendo versi di canzoni (18%).
Ma in un momento storico sempre più frenetico in cui tutto ciò che si vive è anche online non sorprende che per scrivere i propri biglietti d’auguri il 29% attinga da internet, dai social (26%), dai libri (22%) e il 17% chiede di scriverli direttamente all’Intelligenza artificiale (ChatGPT).

E prima ancora dei classici cartoncini scritti a mano (26%) gli italiani preferiscono inviare i propri auguri di Natale tramite WhatsApp (32%).
A seguire, i tradizionali auguri fatti a voce nel giorno di Natale o alla Vigilia (21%) e quelli scritti via e-mail a clienti e colleghi nei giorni che precedono le festività (14%).

Ai regali non si rinuncia

Non ci sono dubbi, invece, sulle persone da cui gli italiani preferirebbero ricevere gli auguri: al primo posto il partner (30%), seguiti da genitori (27%), amici (22%) e parenti (15%).
Diverso è il periodo in cui si preferisce fare i propri auguri: c’è chi li manda durante la mattina di Natale (32%) o nel corso della giornata, e chi invece la vigilia (31%), senza contare chi li invia le settimane precedenti per condividere gli auguri con colleghi, clienti e amici prima della chiusura (11%).
In ogni caso, per accompagnare un messaggio di auguri, gli italiani optano per un regalo personalizzato (26%), seguito dal tradizionale cesto natalizio (23%), gioielli (17%), giochi (14%) e le piante (13%).

Smart TV: nel 2023 sorpassano quelle tradizionali 

Lo rivela il Sesto Rapporto Auditel-Censis, ‘La nuova Italia televisiva’: nel 2023 le Smart tv superano le tv tradizionali. 

Negli ultimi sette anni le tv tradizionali si sono ridotte di 12 milioni e 100mila esemplari, arrivando a 20 milioni e mezzo, mentre le Smart tv sono triplicate, passando da poco più di 7 milioni a 21 milioni (+13 milioni e 600mila).
Inoltre, sono 122 milioni i device presenti nelle case degli italiani, +2,2% nell’ultimo anno e +9,6% dal 2017 a oggi, per una media di circa cinque schermi per famiglia e oltre due schermi per individuo.

Aumenta la visione in streaming

La crescita degli schermi dipende esclusivamente dall’aumento di quelli connessi, che permettono di integrare i contenuti della tv lineare con l’offerta in streaming.
Nel 2023 sono 97 milioni, +31,7% negli ultimi sette anni e +4,4% nell’ultimo anno, con una media di quattro device connessi per abitazione.

“Nel 2023, 26 milioni e 300mila italiani, il 45,8% del totale, ha fruito di contenuti televisivi su piattaforme e siti web. Nel 2017 erano il 27% del totale e non raggiungevano 16 milioni – spiega Andrea Imperiali, presidente Auditel -. Sono quindi aumentati del 66,2% nei sette anni considerati, con una spinta decisiva nell’anno della pandemia, mantenuta anche negli anni successivi. Di fronte a una tale trasformazione dei consumi, che vede protagonisti sul palcoscenico globale grandi gruppi multinazionali, i broadcaster italiani non si sono fatti trovare impreparati, anzi”.

I salotti italiani somigliano sempre più a sale cinematografiche

I nuovi televisori sono più grandi rispetto al passato: nel 2017 i televisori di 50 pollici o più erano meno di 2 milioni (circa il 4% del totale), ora sono oltre 6 milioni (14,1%). In sette anni sono triplicati.
Sempre più diffuso poi anche il 4K, televisore Smart con il quadruplo di pixel rispetto a quelli Full HD, presente in oltre 8 milioni di televisori (19%, tre anni fa erano l’11,2%).

Ma ai device connessi andrebbero aggiunti almeno altri due dispositivi smart che hanno fatto ingresso nelle case degli italiani negli ultimi dieci anni, smart speaker e smartwatch. Tra le funzionalità prevedono anche quella di seguire contenuti audio e video in streaming. 

Due milioni esclusi dalla vita digitale

Oggi il 63,1% delle famiglie italiane (15 milioni e 400mila, +17,1% in 7 anni) vive in abitazioni che dispongono della Banda Ultra Larga. Accedono a internet tramite Adsl, fibra ottica o satellitare.

Ma la strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo stabilito dal PNRR all’interno della Strategia per la Banda Ultra Larga (connessioni a 1 Gigabit su tutto il territorio nazionale per tutti entro la fine del 2026) è ancora lunga.
Restano fuori dalla vita digitale 2 milioni e mezzo di italiani che non accedono a internet da casa, riporta Askanews. Il 30,2% possiede solo una connessione mobile che non sempre ha velocità e capacità tali da supportare al meglio tutte le attività, e 5 milioni e mezzo di famiglie (il 22,4%) si collega solo con smartphone.

In che modo i fattori ESG influenzano i compensi dei vertici aziendali?

Il Rapporto Consob 2022 sulla Rendicontazione non finanziaria delinea una crescente integrazione tra sostenibilità e finanza, elemento chiave per rendere la transizione ecologica non solo auspicabile, ma reale.

Per capire come la rivoluzione ESG stia impattando sull’economia, è interessante notare come i temi di sostenibilità influenzino la remunerazione del CdA, soprattutto in ambito finanziario, dove coinvolgono 31 emittenti (65% del settore), seguito da quello industriale (66 emittenti, 56%) e dalle imprese dei servizi (30 emittenti, 58%).
Nel 2022 i fattori ambientali, sociali e di governance hanno concorso a determinare i compensi degli amministratori delegati in 127 società con azioni ordinarie negoziate sul mercato Euronext Milan, pari al 58,5% del totale e l’11,5% rispetto alle 106 del 2021.

Un’equazione più frequente nelle grandi società

Di fatto i fattori ESGi hanno influenzato le remunerazioni di breve termine in 111 casi, e quelle di lungo termine in 75.
L’evoluzione della normativa comunitaria sta dando un grande impulso al settore. Non a caso, il collegamento tra fattori ESG e remunerazioni è più frequente nelle società di maggiori dimensioni, appartenenti all’indice Ftse Mib (31 casi, il 94% dell’indice) o al Mid Cap (27 casi, 77%).

Come spiega Esgnews.it, i dirigenti vengono premiati per i risultati ottenuti negli aspetti social (capitale umano, sicurezza sul lavoro, soddisfazione dei clienti, innovazione), ambientali (riduzione delle emissioni di C02, economia circolare, gestione dei rifiuti, energie rinnovabili), di governance (avanzamento negli indici e nei rating ESG, aumento dei prodotti ESG offerti dalla società).

Il ruolo degli stakeholder esterni

Le tematiche ambientali sono predominanti nelle strategie. Delle 13 società che hanno raggiunto un’integrazione completa, 8 hanno dato spazio a tutte le dimensioni ESG, mentre 5 hanno trattato maggiormente tematiche sull’ambiente, riservando meno spazio agli aspetti sociali e di governance.
Inoltre, per le società e i decision-maker il ruolo degli stakeholder è sempre più rilevante per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità.

Dalle dichiarazioni non finanziarie di 148 società quotate emerge che il coinvolgimento degli stakeholder sia aumentato di circa il 4%, raggiungendo nel 2022 il 65,8% delle società analizzate.
Il ruolo di questi portatori di interesse è soprattutto quello di affiancare le società nel definire le tematiche ESG più importanti in ottica operativa e strategica.

L’ostacolo della scarsa formazione

Un ostacolo alla trasformazione ESG è rappresentato dalla scarsa formazione. Secondo uno studio di Manpower Group il 94% delle aziende a livello globale non ha le competenze necessarie per raggiungere gli obiettivi ambientali, sociali e di governance. Ma nel 2022 il 76,4% delle società emittenti analizzate dal Rapporto Consob ha organizzato almeno una sessione formativa per manager e personale, per un totale di 113 società interessate.

Le tematiche su cui più si concentra la formazione in ambito ESG sono innovazione digitale, capitale umano, sostenibilità in generale e ambiente.
Ma ancora una volta, sono soprattutto le società medio grandi e quelle del settore finanziario che organizzano più frequentemente almeno un corso di formazione su temi ESG durante l’anno.

Vacanze 2023: ancora al mare e in Italia, ma ripresa dei viaggi all’estero

Come saranno le vacanze estive 2023 degli italiani? Il monitoraggio Ipsos Future4Tourism, giunto al suo sesto anno, mostra come la maggioranza degli italiani continui a prediligere il Bel Paese e le mete balneari, ma registra anche una ripresa delle mete europee ed extra-europee e un aumento delle visite di borghi e città d’arte. In merito alla tipologia di vacanze, più di un intervistato su due dichiara di affiancare alle vacanze brevi anche vacanze più lunghe. Gli italiani si affacciano poi anche all’utilizzo delle nuove tecnologie e del Metaverso, sia per la ricerca di informazioni e per agevolare l’organizzazione del viaggio, sia per cercare ispirazione rispetto le attività da fare e per superare le barriere linguistiche.

Aumentano le visite a borghi e città d’arte

Il desiderio di poter viaggiare verso mete lontane si affaccia nuovamente dopo il freno degli ultimi anni. Per le vacanze estive 2023 la maggioranza dei viaggiatori (67%) resterà in Italia, in lieve calo rispetto all’estate 2022, a conferma appunto di una ripresa delle mete europee ed extra-Europee.
Il ritorno all’ultima estate pre-pandemia è testimoniato anche dalle scelte del luogo di vacanza: diminuisce la destinazione mare, pur rimanendo la scelta di oltre metà dei viaggiatori estivi, e aumentano le visite a borghi e città d’arte, soprattutto per effetto dei viaggi in Europa ed Extra-Europa. Inoltre, si registra una buona tenuta delle mete montane e collinari-lacustri, che nelle estati caratterizzate dal Covid avevano vissuto un vero e proprio boom.

Si riduce la durata e si rinuncia a gite ed escursioni in loco

Più di un intervistato su due dichiara di affiancare alle vacanze brevi (long-weekend) anche vacanze della durata più lunga (fino a 13 notti). Tuttavia, a causa degli aumenti dei prezzi, carrello della spesa e bollette delle utenze sottraggono liquidità dal portafoglio dei viaggiatori. Non si prevede, dunque, una rinuncia alle vacanze estive, ma una riallocazione del budget indirizzato prevalentemente a una riduzione della durata e alla rinuncia di gite ed escursioni in loco.
Accanto ai siti della destinazione o ai forum di viaggio come principali fonti di ispirazione per la programmazione delle vacanze, iniziano a farsi strada anche i portali di prenotazione online, che spesso mostrano offerte del momento. Invece, non si registrano variazioni rispetto l’importanza data ad amici e conoscenti come peer review di luoghi di villeggiatura già visitati.

Nuovi trend: Metaverso e sostenibilità 

Il Metaverso appare come uno strumento con grandi potenzialità sia per trovare informazioni e agevolare l’organizzazione del viaggio prima della partenza, sia in loco.
Il Metaverso consente infatti un’immersione virtuale nelle strutture alberghiere (30%) e nei luoghi (22%), ma anche per cercare ispirazione rispetto le attività da fare (21%) e superare le barriere linguistiche (19%). Il tema della sostenibilità, poi, entra a pieno titolo nel mondo del turismo, influenzando le scelte dei viaggiatori che mostrano sensibilità e attenzione al tema. Tanto da adottare comportamenti di scelta indirizzati a strutture dalla propensione alla salvaguardia ambientale per evitare sprechi di acqua ed energia (33%).

Ambiente, clima e siccità in cima alle preoccupazioni degli italiani  

Lo segnala l’Istat nel Rapporto annuale 2023: le tematiche ambientali si collocano ai primi posti tra le principali preoccupazioni dei cittadini italiani. Nel 2022 oltre il 70% dei residenti in Italia, dai 14 anni in su, considera il cambiamento climatico o l’aumento dell’effetto serra tra le preoccupazioni prioritarie. Le preoccupazioni ambientali si declinano differentemente per classe di età. I giovani under34 sono più sensibili alla perdita della biodiversità (32,1% tra 14 e 34 anni contro il 20,9% degli over55), alla distruzione delle foreste (26,2% contro 20,1%) e l’esaurimento delle risorse naturali (24,7% contro 15,9%).
Gli ultracinquantenni si dichiarano, invece, più preoccupati dei giovani per il dissesto idrogeologico (26,3% contro 17% under35) e l’inquinamento del suolo (23,7% contro 20,8%).

Nel 2022 disponibilità idrica ridotta del 50% 

La riduzione delle precipitazioni, accompagnata dall’aumento delle temperature, ha portato a una minore disponibilità media annua della risorsa idrica, che nel trentennio 1991-2020 si riduce del 20% rispetto alla media del trentennio 1921-1950, raggiungendo nel 2022 il suo minimo storico, quasi il 50% in meno rispetto all’ultimo trentennio 1991-2020. Nel Rapporto annuale 2023 dell’Istat si sottolinea che a tale problema si associa una condizione di persistente criticità nell’infrastruttura idrica, infatti, nel 2020, il 42,2% dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile non arriva agli utenti finali.

Agricoltura: in riduzione produzione, valore aggiunto e occupazione

La siccità e i problemi di approvvigionamento di acqua, rileva l’Istat, hanno influito pesantemente sull’annata agricola appena trascorsa, facendo registrare, nei conti economici nazionali, una riduzione della produzione, del valore aggiunto e dell’occupazione del settore agricolo. Il calo dei volumi di produzione nel 2022 ha caratterizzato tutti i comparti produttivi tranne quelli frutticolo, florovivaistico e le attività secondarie. In particolare, in flessione coltivazioni (-2,5% in volume), legumi (-17,5%), olio d’oliva (-14,6%), cereali (-13,2%), piante foraggere (-9,9%), ortaggi (-3,2%), piante industriali (-1,4%) e vino (-0,8%).

Diminuiscono le emissioni di gas serra

In Europa continuano a diminuire le emissioni di gas serra: nel 2019 erano il 24%o in meno rispetto al 1990. L’Italia è tra i cinque paesi Ue27 che forniscono il contributo maggiore a tale riduzione. Con riferimento alla qualità dell’aria nell’Ue27, l’esposizione a lungo termine ponderata con la popolazione al particolato PM2,5 tra il 2006 e il 2020 registra il -39,5%, raggiungendo 11,2 μg/m3 nel 2020. In Italia, invece, il miglioramento è più lento, e nel 2020 si è arrivati a 15 μg/m3.
L’andamento dell’esposizione a lungo termine al PM2,5 spiega le differenze tra l’Italia e gli altri maggiori paesi europei in termini di mortalità connessa. Tra il 2005 e il 2020, mentre in Germania, Francia e Spagna le stime dei decessi prematuri da PM2,5 sono più che dimezzate i progressi dell’Italia sono stati molto più lenti (da 124 a 88).