Prezzi più alti e carrelli più vuoti, ma non per tutti i prodotti

L’aumento dei prezzi costringe gli italiani a riconfigurare la shopping strategy, la conseguenza è un carrello più leggero, ma più ‘pesante’ in termini di costi. Questo però in funzione delle tipologie di prodotti e della capacità di spesa, come emerge dalla nuova edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, il report che analizza l’andamento delle vendite di quasi 133mila prodotti di largo consumo, tra food & beverage, petcare, cura casa e cura persona, che nel 2022 hanno sviluppato oltre 43 miliardi di euro di sell-out, l’82,1% delle vendite realizzate da supermercati e ipermercati italiani. L’Osservatorio monitora l’evoluzione della composizione e delle vendite in valore e volume di 12 panieri, tra food e non food, sulla base dei claim, delle certificazioni, dei loghi e delle icone presenti sulle etichette, misurando i trend di vendita tramite i dati elaborati da NielsenIQ su venduto e consumo nella GDO.

Non tutti i prodotti hanno subìto tagli nelle quantità acquistate

“Tra i principali panieri analizzati dall’Osservatorio Immagino i claim relativi al basso tenore di zuccheri, alla ricchezza in proteine e all’assenza di lattosio hanno aumentato le vendite anche in volume e non solo a valore – spiega Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy -. Evidentemente le caratteristiche di questi prodotti sono talmente importanti per i consumatori da non modificarne i comportamenti di acquisto”.

Diminuiscono i volumi, soprattutto per le fasce di prezzo più basse

“La storica e radicata difesa della qualità del cibo messa in atto dagli italiani ha faticato a reggere l’urto dei fenomeni così impattanti che hanno caratterizzato gli ultimi 12 mesi – aggiunge Cuppini -. Sono aumentati i prezzi e si è cominciato a vedere in modo netto come siano diminuiti i volumi, anche se in maniera diversa fra fasce di prezzo, con quella più bassa che ha mostrato la maggior sofferenza”.

I panieri Food e non food

Nel food i panieri che non hanno subito ‘tagli’ sono Italianità, Free from, Rich-in, Intolleranze e Lifestyle.
Tra i loghi e certificazioni, bollini, indicazioni e claim che forniscono garanzie precise, come la bandiera del paese d’origine, il logo EU Organic o le certificazioni in materia di Corporate Social Responsibility, come Fairtrade, Friend of the sea, FSC e Sustainable cleaning. Inoltre, gli Ingredienti benefici, il Metodo di lavorazione, la Texture dei prodotti, e il Petcare in generale.
E nel non food, Cura casa green, e Cura persona, in particolare, health&beauty.

Italiani, 20 chili di cibo in pattumiera ogni anno. Perchè?  

Ogni famiglia italiana spreca in media quasi 20 chilogrammi di cibo all’anno, secondo i dati dell’Osservatorio sprechi alimentari del Crea, presentati dalla Società italiana di nutrizione umana (Sinu) al XLIII congresso nazionale. Si tratta di una quota importante, che oltre a essere realmente “brutta” ha anche un peso economico non irrilevante. Per combattere un simile spreco, la Sinu ha sviluppato un decalogo di comportamenti virtuosi che vanno dalla pianificazione degli acquisti al riutilizzo degli avanzi, sottolineando i vantaggi della dieta mediterranea sia per la salute sia per il risparmio.

Spagna, Germania e Ungheria sprecano ancora di più

Se gli italiani si rivelano dei veri “spreconi”, non è che nel resto d’Europa le cose vadano meglio, anzi. Analizzando i dati dell’Osservatorio sprechi, emerge che nel 2018 gli italiani hanno sprecato in media 370 grammi di cibo alla settimana per famiglia. Questo dato si avvicina a quello dei Paesi Bassi (365 g/settimana) ed è inferiore rispetto a Spagna (534 g/settimana), Germania (534 g/settimana) e Ungheria (464 g/settimana). In Italia, si verifica principalmente uno spreco di prodotti completamente inutilizzati (43,2% rispetto al 31% della quantità sprecata), mentre si ha una minore tendenza a gettare gli avanzi dei piatti (14,6% contro il 20%) e i prodotti aperti ma non completamente consumati a causa della scadenza (30,3% contro il 36%). Nel 2021, lo spreco domestico è aumentato a 420 grammi a settimana per famiglia.

La tipologia di famiglia influisce su ciò che finisce nella spazzatura

La dimensione della famiglia influisce sullo spreco alimentare, ma guardando ai dati pro capite si nota un maggior spreco nelle famiglie monocomponenti. Inoltre, si riscontra una certa propensione allo spreco alimentare nei segmenti di età più giovane e tra le famiglie con maggiori disponibilità economiche. Tuttavia, le famiglie sono consapevoli dell’impatto negativo degli sprechi su diversi livelli. L’impatto economico è quello maggiormente percepito (70%), seguito da quello sociale (conseguenze sulla disponibilità di cibo nel mondo, 59%) e ambientale (55%).

Il decalogo per non sprecare

Il decalogo proposto dalla Sinu per favorire comportamenti virtuosi comprende una serie di semplici abitudini. Ecco i dieci punti: 1) pianificare il menù settimanale; 2) stabilire le quantità da acquistare e cucinare; 3) evitare gli acquisti impulsivi o eccessivi; 4) fare la spesa sempre dopo aver mangiato e mai a stomaco vuoto; 5) imparare a riconoscere se un alimento è ancora buono; 6) leggere attentamente l’etichetta; 7) riutilizzare gli avanzi; 8) seguire la dieta mediterranea; 9) preferire porzioni piccole o monoporzioni; 10) educare le nuove generazioni.

Il 58% degli italiani ha una “miniera” di vecchi telefoni cellulari nel cassetto

Ogni anno vengono lanciati almeno un centinaio di nuovi modelli di telefoni cellulari e tutti abbiamo visto le code davanti ai negozi per ottenere l’ultimo modello di quelli più  più rinomati e all’avanguardia. Siamo da tempo dipendenti dalla tecnologia e la domanda è: cosa succede ai vecchi dispositivi che abbiamo in tasca?
Il 58% degli italiani ha ammesso di avere una miniera di telefoni cellulari nel cassetto, riporta Ansa. Non li buttiamo via, li accumuliamo “per ricordo” o li teniamo “di scorta”, ma anche perché non sappiamo come smaltirli correttamente. Questo trend emerge da un’indagine condotta dalla società francese CertiDeal, specializzata in dispositivi elettronici usati e ricondizionati, ovvero riportati a nuova vita come se fossero nuovi di zecca. Gli italiani hanno difficoltà a separarsi dal vecchio smartphone, solo il 15% degli intervistati lo regala ad amici, figli o parenti, mentre il 9% lo rivende. Il rapporto attesta che solo nel 2022 sono stati accumulati complessivamente oltre 5 miliardi di cellulari dismessi su un totale di 16 miliardi. Se fossero tutti impilati l’uno sopra l’altro, creerebbero una colonna alta 50.000 chilometri.

Il tech decluttering

È necessario aprire quei cassetti e fare un “tech decluttering”, cioè fare pulizia proprio come si fa con il contenuto degli armadi all’inizio della bella stagione. “In questo caso, il decluttering va oltre il semplice mettere in ordine perché si tratta di una decisione che non solo libera spazio in casa, ma fa bene anche alla mente e all’ambiente”, spiegano gli analisti di CertiDeal, fornendo alcuni consigli pratici per farlo. Si consiglia di aprire i cassetti e mettere insieme tutti i dispositivi, compresi gli accessori, per selezionare quelli funzionanti e ancora in uso rispetto a quelli non funzionanti. Tra quelli che ancora funzionano, perché non pensarci per un possibile riciclaggio? Potrebbero essere utili a qualcuno che conosciamo, oppure possono essere smontati e offerti a un rivenditore. Se sono “morti”, devono essere trattati come “rifiuti speciali” portandoli nei punti di raccolta Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) o in un centro di raccolta ecologica comunale attrezzato per lo smaltimento dei Raee. Possono anche essere consegnati a un negozio di elettronica, che è obbligato a ritirare i vecchi apparecchi.

In Italia il mercato dei telefoni cellulari usati è sotto la media europa

Al fine di interrompere il consumo sfrenato di cellulari (che sembrano tarati per durare al massimo 5-7 anni) e quindi l’accumulo mostruoso di spazzatura elettronica inquinante, il mercato dei telefoni usati e ricondizionati, cioè garantiti come performance e qualità pari al nuovo ma a prezzi più vantaggiosi, sta crescendo di mese in mese.
Sebbene il mercato dei telefoni cellulari usati stia crescendo in Italia, siamo ancora al di sotto della media europea. Deloitte attesta che nel nostro paese il mercato è ancora agli inizi e solo il 3% degli smartphone usati viene venduto a aziende specializzate nel riciclo e solo il 2% viene rivenduto o scambiato. In Germania, l’11% dei telefoni cellulari viene riciclato e nel Regno Unito il 16%, mentre in Francia circa il 6%. 

Economia circolare? La conosce 1 italiano su 2

Una nuova ricerca condotta da SWG per il sito di rivendita di dispositivi usati Swappie rivela che, nonostante solo 1 italiano su 2 sia familiare con il concetto di economia circolare, l’82% dei cittadini riconosce il ruolo potenzialmente determinante dell’economia circolare per la tutela dell’ambiente quando gli vengono spiegati i suoi principi guida. Il 23% degli italiani guarda ai modelli di economia circolare, mentre il 59% sostiene che l’economia circolare non si diffonderà abbastanza da essere efficace.

Luxury real estate internazionale: Parigi in testa, Milano al 10° posto

Qual è la città più attraente per l’immobiliare di lusso a livello internazionale? Secondo il Barnes Index City 2023 delle 50 città più ricercate dagli UHNWI (Ultra High-Net-Worth Individuals), è Parigi, seguita sul podio da due mete americane, Miami (2°) e New York (3°). Parigi, che si sta preparando per le Olimpiadi del 2024, sembra quindi trovare unanimità tra gli investitori internazionali, attratti dal suo patrimonio, la sua cultura e la sua forza economica. Ma tra le prime dieci ci sono anche altre quattro città europee, Londra (7°), Ginevra (8°), Madrid (9°) e Milano (10°), segnale di un ritorno in grazia delle città storiche agli occhi di clienti facoltosi. 

Roma guadagna undici posizioni e conquista i clienti stranieri

Il 2022 è stato in generale un anno incredibile per le compravendite residenziali in Italia, con circa 787.000 compravendite (+4.8%) sul territorio nazionale. E i primi mesi del 2023 hanno espresso un’effervescenza in Italia anche del mercato immobiliare di lusso, riscontrando un aumento della domanda soprattutto da parte di clienti stranieri. Nel Barnes Index City 2023 appaiono infatti anche due italiane, Milano (10°), e Roma, che dal 22° posto dell’anno precedente passa all’11°. Roma fa quindi un balzo in avanti nella classifica delle città più desiderate dagli ultra-ricchi del mondo, confermando il trend di crescita della domanda di immobili degli ultimi anni.

Top 5: anche Miami, New York, Austin e Dubai

Il livello più alto è composto da cinque città, riuscite più di altre a rassicurare gli investitori in questo periodo di incertezza. Oltre a Parigi, riferisce Ansa, in cima alla lista, grazie alla loro vitalità economica hanno conquistato il 2°, 3° e 4° posto tre grandi città degli Stati Uniti, Miami, New York e Austin (Texas). In quinta posizione Dubai, che entra a far parte dell’esclusivo club degli investimenti ‘safe global’ per il suo appeal esercitato su imprenditori ed expat family. È infatti una sorta di El Dorado per gli investitori nei settori del lusso, tech e salute, e in due decenni è passata da destinazione in cui investire a destinazione in cui vivere.

Una Top 10 polarizzata tra Nord America ed Europa

Tra le tradizionali ‘scommesse sicure’, Londra, Ginevra, Madrid, Milano e Roma, a conferma di un polarismo all’interno dell’indice tra Nord America e Europa, interrotto da Tokyo, che appare come unica città asiatica al 6° posto della Top 10. Ma alle soglie della Top 10 c’è una nuova arrivata, Istanbul, che ogni anno attira sempre più investitori grazie alla sua posizione strategica nel punto di incontro tra Europa e Asia. Quanto alle ‘escluse’, la chiusura della Cina agli stranieri ha fatto sì che diverse città cinesi scendano o siano fuori dall’Index. Allo stesso modo, la guerra in Ucraina ha alienato Mosca e San Pietroburgo dalle simpatie degli investitori per un periodo di tempo imprecisato.

Cibi a base vegetale, in Italia crescono del +3%

La gamma di cibi a base vegetale, prodotti realizzati partendo da proteine vegetali di verdura, legumi, cereali, semi o alghe, è molto ampia. Si va dai burger e i piatti pronti, che trainano il mercato crescendo a doppia cifra, a gelati e dessert fino alle bevande vegetali. Questi alimenti si fanno sempre più spazio sulle tavole degli italiani. E mentre ferve il dibattito sulla carne coltivata, il gruppo Prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food racconta di un 2022 in crescita di circa il 3% a volume per il comparto, mentre a valore il fatturato è cresciuto dell’8% (490 milioni). Insomma, i prodotti a base vegetale sono sempre più scelti dai consumatori. Oggi quasi 22 milioni di italiani consumano regolarmente questa categoria di prodotti.

Non conquistano solo il palato

A decretare il successo di questi prodotti, nati come alternativa al consumo di proteine animali, sono diversi fattori che hanno sicuramente a che fare con ‘il palato’. Ma non solo. “Dietro il successo di questi prodotti c’è il gusto – . – commenta Salvatore Castiglione, presidente Gruppo prodotti a base vegetale Unionfood – ma anche la volontà di aumentare il proprio intake di proteine vegetali, forse strizzando l’occhio anche all’ambiente, perché questi prodotti consumano meno suolo e meno acqua”.
Di fatto accanto ai benefici per la salute, riconosciuti da oltre l’80% degli intervistati, c’è la sostenibilità (77%).

Non solo per chi è vegetariano o vegano

A chi restano dubbi sul loro consumo di acqua e suolo (15%) risponde Ludovica Principato, docente presso l’Università Roma Tre: “Se la popolazione italiana si spostasse verso diete flexitariane a favore di un maggiore consumo di alimenti vegetali si emetterebbero ogni anno 106 milioni di tonnellate di CO2 equivalente rispetto alle 186 dei consumi attuali, liberando campi coltivati delle dimensioni di 5.000 campi da calcio e riducendo di molto i consumi idrici”. Del resto questi alimenti si rivolgono non solo a chi è vegetariano o vegano, ma anche a chi ha scelto una dieta flexitariana, attenta al proprio benessere e a quello dell’ambiente.

Nulla a che vedere con la carne coltivata

Secondo un’indagine Astraricerche, il 75,5% di chi già conosce i cibi a base vegetale sa di cosa sono fatti grazie soprattutto alla chiarezza delle etichette. Nulla a che vedere dunque con la carne coltivata, un prodotto di origine animale che proviene da cellule estratte dall’animale e coltivate in bioreattori per produrre burger di origine animale.
“Dal giorno in cui è nato questo gruppo dedicato ai prodotti a base vegetale – sottolinea Castiglione  ad Askanews- abbiamo convenuto che ‘a tavola’ c’è davvero posto per tutti. Questo significa che senza attaccare nessuno, ci facciamo spazio fra le altre categorie”.

Finanza personale: le donne italiane ne sanno poco 

Nonostante si tratti di una materia che riguarda tutti da vicino le donne italiane risultano impreparate sul tema della finanza personale. Di fatto, non sembrano essere molto informate in merito all’argomento finanza: poche, infatti, conoscono la differenza tra un tasso fisso e uno variabile, e non sono molte che saprebbero spiegare cosa siano una franchigia o un prestito personale. La conferma arriva dall’indagine commissionato da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat: più di due intervistate su tre, il 67,3%, si dichiarano poco o per nulla preparate a riguardo. Ma quali sono le ragioni di questa impreparazione?

“Un argomento troppo difficile”

Il 36% delle intervistate ha affermato di considerare la finanza personale un argomento troppo difficile, il 20% ha semplicemente risposto di non essere interessata alla materia, e se si considerano le donne che vivono insieme a un partner, è emerso addirittura che il 12% di loro ha ammesso di non interessarsi all’argomento perché se ne occupa l’altra ‘metà’. In realtà, ben 1,4 milioni di donne italiane vorrebbero colmare questa lacuna, ma non riescono a farlo per diverse ragioni. In particolare, il 54% perché non ha tempo, e il 44% perché non ha le risorse economiche necessarie, percentuale che supera il 53% tra coloro che abitano al Sud e nelle Isole. Ben più grave la condizione di quasi 20.000 donne che hanno dichiarato di non poter approfondire la materia perché il partner non vuole.

Una materia che non si impara a scuola

Se a livello nazionale la percentuale di donne che hanno dichiarato di avere conoscenze in ambito di finanza personale è pari al 32,7%, la percentuale sale per le donne con età compresa tra 35 e 44 anni (38,6%), mentre scende se ci si sposta sulla generazione precedente, passando al 30,8% tra le 55-64enni e al 30,2% tra le over 65. Fa riflettere vedere come la principale fonte di preparazione sulle tematiche della finanza personale non sia la scuola (solo il 12,5% ha imparato qualcosa grazie al proprio percorso di studi) ma l’autoapprendimento, tanto che il 57% ha dichiarato di averlo fatto da sola. Per il 23% sono state importanti anche le esperienze lavorative, mentre anche il ruolo della famiglia nell’educazione finanziaria delle donne rimane marginale (5,5%).

Cos’è il TAEG?

L’indagine ha poi analizzato il grado di conoscenza su alcuni termini specifici legati al mondo della finanza personale, come mutui, prestiti, assicurazioni e bollette. Se la maggior parte delle intervistate ha dichiarato di conoscere termini generici basilari, come ad esempio ‘mutuo a tasso fisso’ (67,5%), ‘mutuo a tasso variabile’ (63,2%) o prestito personale (63,3%), la situazione peggiora quando si approfondisce la terminologia. Ad esempio, il 76% non saprebbe spiegare il significato di TAN e il 72% ignora anche cosa sia il TAEG. In ambito assicurativo, invece, un’intervistata su due non sa cosa sia la franchigia, mentre addirittura il 66% non conosce il significato di ‘massimale’.

Caramello e pistacchio, nuova passione italiana: vendite a 267 milioni di euro

E’ abbastanza sorprendente scoprire che tra gli ingredienti più apprezzati dagli italiani negli ultimi dodici mesi ci siano il caramello e il pistacchio. Proprio così: i due prodotti hanno infatti conquistato il palato e il carrello della spesa dei nostri connazionali, tanto che il loro giro d’affari è aumentato esponenzialmente. Come evidenzia la nuova edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che da sei anniindividua gli ingredienti “benefici” più trendy nei prodotti alimentari in supermercati e ipermercati e ne monitora l’andamento delle vendite, pistacchio e caramello hanno messo a segno vendite per 267 milioni di euro. Insomma, caramello e pistacchio hanno sbaragliato le altre 13 mila referenze che fanno parte del panel degli ingredienti “benefici” dell’Osservatorio.

Caramello sul podio con 92 milioni di vendite

Il caramello è l’ingrediente eemergente con il maggior tasso di crescita nelle vendite. Non solo: rappresenta un vero e proprio fuoriclasse nel settore food. A proiettarlo verso l’incredibile successo è stato l’aumento dell’offerta (+23%), che ha portato sugli scaffali della grande distribuzione 314 prodotti con il caramello come ingrediente-chiave indicato sulle confezioni. In che forma piace di più il caramello? Le performance migliori di vendita sono state registrate dai biscotti tradizionali, budini e creme. Notevolissimi i dati di vendita: negli ultimi 12 mesi il giro d’affari dei prodotti che lo segnalano in etichetta è cresciuto di 14,3%, superando la cifra di 92 milioni di euro.

Pistacchio presente in 512 referenze

Se il caramello è il più gettonato, il pistacchio lo segue a ruota. L’Osservatorio Immagino ha individuato 512 referenze, tra prodotto al naturale e alimenti che lo usano come ingrediente, per un giro d’affari di oltre 175 milioni di euro, in crescita annua dell’11,1%. Il risultato è dovuto sia all’aumento dell’offerta (+26,8%) sia dai trend positivi di alcune categorie di prodotti, come gelati multipack, creme spalmabili, colombe e uova di Pasqua. 

Il paniere “benessere” raggiunge le 13 mila referenze

Sono in continuo aumento le referenze che compongono il paniere dell’Osservatorio Immagino. Quest’anno hanno fatto il loro debutto cacao, nocciole, noci, limone e vaniglia che si vanno ad aggiungere agli altri prodotti/ingredienti tradizionali rilevati per la prima volta dall’Osservatorio. Ci sono anche le novità di mango e anacardi, che si uniscono agli altri 27 “ingredienti benefici” monitorati da tempo. Quelli “classici” includono infatti cocco, canapa, mandorla, avocado, avena, zenzero e semi di lino. Complessivamente, queste referenze sono oggi circa  13 mila e totalizzano 3,8 miliardi di euro di vendite, con una crescita del 2,5% nell’arco dell’ultimo anno.

Gli italiani non bevono l’acqua del rubinetto 

A delineare lo scenario relativo al consumo di acqua pubblica in Italia è il libro bianco 2023 Valore acqua per l’Italia, realizzato dall’osservatorio istituito dalla community creata da The European House – Ambrosetti. L’Italia è il primo tra i grandi paesi europei per qualità dell’acqua: l’85% della risorsa viene prelevata da fonti sotterranee, quindi protette e di qualità, contro il 69% della Germania, il 67% della Francia o il 32% di Spagna e Regno Unito, fino al 23% della Svezia. Ma in tema di acqua pubblica, la conoscenza e percezione degli italiani continuano a essere in contraddizione con i dati fattuali. Sono infatti meno del 30% (29,5%) gli italiani che consumano con regolarità acqua del rubinetto, nonostante il 96,3% dichiari di adottare comportamenti sostenibili. I giovani però potrebbero invertire questa tendenza. Il 60% di under 30 già beve senza problemi l’acqua degli erogatori pubblici.

Al Centro e al Sud poca sicuri della qualità idrica

Nell’area Nord-Est la ricerca segnala una maggior fiducia sulla qualità dell’acqua del rubinetto. L’87,4% degli intervistati la ritiene infatti di livello alto o medio, mentre al Sud e nelle Isole la fiducia scende di oltre 14 punti percentuali (72,8%). Quello che non convince nel Nord-Italia è soprattutto il sapore, ma al Centro e al Sud gli intervistati dichiarano di non sentirsi sicuri della qualità di quest’acqua, o non si fidano dell’igiene delle autoclavi.

Il consumo giornaliero viene sottostimato, non la bolletta

Nonostante un 2022 drammatico dal punto di vista dell’emergenza siccità (quasi il 70% del campione riconosce il 2022 come anno più caldo della nostra storia), il cambiamento climatico viene percepito dagli solo come il terzo problema più grave che affligge il paese (37,4%) dopo ‘sanità’ (39,9%) e soprattutto ‘occupazione’ ed ‘economia’ (62,2%). I due terzi del campione, poi, sottostima gli impatti del cambiamento climatico sull’agricoltura. Il 72% degli italiani, inoltre, sottostima il proprio reale consumo giornaliero d’acqua, pari a 220 litri pro capite, ma al contempo 9 italiani su 10 sovrastimano la propria bolletta: l’88,4% non conosce il costo unitario dell’acqua in Italia, ritenendolo il più delle volte troppo alto.

Un parco contatori con un’età media di 25 anni

L’Italia in realtà è uno dei paesi europei con la tariffa idrica più contenuta (2,10 euro/m3). Si spende meno solo in Bulgaria, Romania e Grecia, mentre in Danimarca si superano i 9 euro al metro cubo, e nella vicina Francia il costo è quasi doppio rispetto al nostro paese. Gli italiani ritengono le proprie spese legate all’acqua troppo elevate, ma oltre la metà (55%) non conosce il bonus idrico o le tariffe agevolate in vigore, così come strumenti di monitoraggio dei consumi. Inoltre, il parco contatori installato ha un’età media di 25 anni (circa 20 milioni di pezzi in totale), fattore che rende più complessa l’installazione di strumenti tecnologici per il monitoraggio e la gestione dei consumi.

Viva la spesa online: è uno stress portare i figli al supermercato

Per oltre 1 italiano su 2 fare la spesa con i figli al seguito, specie se piccoli, è un’esperienza stressante. Forse è questo uno dei motivi per cui oggi una famiglia italiana su tre considera la spesa online come un’abitudine consolidata. L’esigenza principale dei genitori alle prese con i tanti impegni di tutti i giorni è infatti quella di risparmiare il tempo speso per le incombenze domestiche. La conferma arriva dai risultati di una ricerca condotta da Everli, marketplace della spesa online, e GoStudent, la scuola di ripetizioni. L’indagine ha analizzato le abitudini di oltre 440 madri e padri italiani relative all’attività di fare la spesa, sia nei supermercati sia online.

I bambini al supermercato sono fonte di distrazione

Per il 54% degli italiani infatti fare la spesa con i figli al seguito sia stressante, ma il 55% non pare avere alternative e li porta comunque con sé. Il 52% trova che la presenza dei bambini rallenti e sia fonte di distrazione, mentre per il 48% il problema principale è il fatto che i figli si annoiano e iniziano a fare capricci.
Forse è per questo che la spesa online continua a farsi largo tra le abitudini degli italiani. Dopo l’exploit iniziale registrato durante la pandemia, oggi sono oltre 1 su 3 le famiglie che hanno fatto dell’e-grocery un’abitudine consolidata. Il 6% degli italiani preferisce addirittura la spesa online all’esperienza di acquisto nei supermercati tradizionali, mentre il 5% effettua i propri acquisti su internet e di persona in egual misura

Per 1 italiano su 2 è un’attività da svolgere in coppia

Quasi 7 italiani su 10 hanno una propria routine, e fanno la spesa con una frequenza prestabilita. Per quasi 1 su 3 l’appuntamento col supermercato, fisico o virtuale, ricorre una volta alla settimana, mentre per il 21% addirittura bisettimanalmente. Il 32% delle famiglie italiane non ha, invece, un vero e proprio ‘rito della spesa’, ed effettua i propri acquisti quando necessario. Ma per 1 italiano su 2 la spesa è un’attività da svolgere in coppia. Infatti, il 48% delle madri e dei padri intervistati si occupa di questa mansione insieme al partner. Nei nuclei in cui, invece, è solo un membro a prendersi cura della spesa per tutta la famiglia, questo onere ricade principalmente sulle madri (47%). I padri che fanno la spesa da soli si attestano su un misero 5%.

Fare la spesa online fa risparmiare tempo

Sul podio dei vantaggi della spesa online ci sono il risparmio di tempo (34%) e la comodità di avere tutto a portata di clic, senza dover uscire di casa (32%). Guadagnare tempo da poter dedicare ad altre attività si aggiudica, invece, la terza posizione, con il 26% delle preferenze. Ma anche non dover portare le borse (21%), evitare lo stress del supermercato (16%) e poter saltare la fila alla cassa (16%) sono alcuni degli altri aspetti che rendono la spesa online particolarmente vantaggiosa agli occhi degli italiani.

Solo il buono delle feste: come affrontare i cenoni senza “effetti collaterali”?

In questo periodo è un continuo brindare e festeggiare a tavola, fra pranzi di Natale e cenoni di Capodanno. Tra l’altro quest’anno è il primo, dopo anni di limitazioni, in cui è possibile ritrovarsi con parenti e amici senza vincoli, con la ritrovata voglia di festeggiare in libertà. E, insieme agli invitati, aumentano anche le portate. D’altro canto a noi italiani piace la buona cucina, e Natale, Santo Stefano e Capodanno non possono dirsi tali senza il corollario di goloserie e dolci della tradizione. Per affrontare senza effetti collaterali questi ghiotti appuntamenti, mettendo in salvo la linea e allo stesso tempo senza rinunce draconiane, possono essere utili i consigli di di AIGO – Associazione Italiana Gastroenterologi ed Endoscopisti Digestivi Ospedalieri. Così si festeggia, si rimane in forma e non si devono fare i conti a posteriori con sensi di colpa e qualche chilo di 

Alcol con moderazione

A Capodanno è d’obbligo il brindisi, ma con moderazione. Gli esperti sottolineano che negli uomini la dose massima giornaliera è di 1-2 bicchieri di vino, mentre nelle donne non dovrebbe superare il bicchiere. Anche nei soggetti sani l’alcol può causare pure in dosi moderate sintomi da reflusso o bruciore, in presenza di patologia serve particolare prudenza. Il paziente con malattie legate al fegato non dovrebbe assumere bevande alcoliche, mentre chi soffre di disturbi funzionali, come intestino irritabile, può concedersi un brindisi, ma uno solo. Quando si è tavola, e la regola dovrebbe valere per tutti, la bevanda da preferire è sempre l’acqua!  

Limitare dolci e grassi

I tipici cibi delle feste sono spesso più ricchi di grassi animali e zuccheri, elementi che possono favorire disturbi come cattiva digestione, gonfiore addominale, reflusso gastroesofageo, essendo difficilmente digeribili anche per le persone in buona salute. Senza demonizzare le nostre eccellenze gastronomiche, è bene tenere presente che in alcune persone con difficoltà nell’assorbimento del lattosio, prodotti caseari freschi, creme e intingoli possono favorire alcuni disturbi. Quindi, spazio anche a tante verdure sulla tavola: in questo caso, si può abbondare senza sensi di colpa. Tra l’altro, regalano un certo senso di sazietà ed evitano di far esagerare con il resto.

La verità sta… nel mezzo

Il segreto per non sgarrare troppo è darsi dei limiti, non punitivi ma senta. Vale poi la pena monitorare alcuni comportamenti, che magari adottiamo inconsapevolmente a tavola. Ad esempio sono da evitare la troppa velocità nell’assunzione del cibo, l’abitudine di fumare tra un pasto e l’altro, la sedentarietà dopo il pasto, l’eccesso di condimenti su cibi magari salutari. Un po’ di movimento fisico è sempre la soluzione migliore per favorire la digestione e migliorare la regolazione glicemica.