Quali sono i Paesi più felici del mondo?

Il Buthan dal 1972 ha sostituito il Prodotto Interno Lordo con il Fil, la Felicità Interna Lorda, che mira a stabilire uno standard di vita e considera come criteri qualità dell’aria, salute dei cittadini, istruzione e ricchezza dei rapporti sociali. Risultato: il Buthan è uno dei Paesi più poveri dell’Asia ma anche uno dei più felici del continente. Questo spinge a chiedersi se i soldi facciano o meno la felicità.
Da più di 10 anni l’Onu realizza il World Happiness Report, che traduce in numeri e grafici il livello di soddisfazione di 137 Paesi del Mondo. Secondo il Report i primi dieci Paesi più felici del mondo sono Finlandia, Danimarca, Svizzera, Islanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Nuova Zelanda, Austria e Canada. Paesi che riescono a mantenere alti livelli di benessere soggettivo, e che non hanno perso questa capacità nemmeno durante la pandemia.

L’Italia è un Paese felice?

L’Italia non si colloca benissimo nella classifica dei Paesi più felici al mondo. Siamo infatti al 33° posto su 137, un risultato decisamente non esaltante. Inoltre, abbiamo perso due posizioni dal 2020, e con un ‘punteggio felicità’ pari a 6,4, non molto sopra la sufficienza, l’Italia si inserisce dopo la Spagna e prima del Kosovo, superata anche da Germania (16° con un punteggio felicità di 6,89), Gran Bretagna (19° con un punteggio felicità di 6,79) e Francia (21°, con un punteggio felicità di 6,66). Sopra di noi anche Costa Rica (23°, con un punteggio felicità di 6,6) e Romania (24°, con un punteggio felicità di 6,58).

Cosa rende i cittadini felici?

In generale, i Paesi con livelli più alti di fiducia nelle istituzioni e negli altri cittadini, di sostegno istituzionale e sociale, di qualità della governance e dei servizi pubblici, di libertà individuale, di rispetto dei diritti umani e di qualità ambientale sono più felici, e hanno resistito meglio alla crisi pandemica. A contare, insomma, è l’etica di un Paese, ma contano anche le istituzioni, ovvero se sono affidabili e offrono servizi adeguati ai cittadini. Inoltre, contano anche reddito e salute, ma una società in cui cittadini sono più virtuosi è anche più felice, perché il benessere di ognuno è legato a quello degli altri.

Le lezioni del Covid

La pandemia ha portato dolore e sofferenza, ma anche un aumento del sostegno sociale, sottolineando la capacità degli esseri umani di aiutarsi e sostenersi nei momenti di grave difficoltà. L’esperienza col Covid è servita a molti per riflettere sull’importanza delle cose semplici, spesso date per scontate, e ha portato a una maggiore gratitudine. In questo contesto, la salute mentale sta assumendo sempre maggiore rilevanza, affiancandosi ad altri fattori come rilevante per la soddisfazione di vita. Insomma, il World Happiness Report 2023 evidenzia l’importanza di coltivare relazioni positive con gli altri e con il pianeta. La felicità quindi è uno stato esistenziale che passa per l’individuo, ma che non può prescindere dal benessere collettivo e dalla condivisione.

Intelligenza Artificiale: più di 35mila citazioni online in un mese

Dall’11 febbraio al 12 marzo 2023 sono state complessivamente più di 35mila le citazioni online in italiano da parte di quasi 11mila autori unici, i cui contenuti hanno coinvolto tra like, reaction, commenti e condivisioni, poco meno di 280mila soggetti. ANSA e DataMediaHub hanno analizzato le conversazioni online su social, news online, blog e forum relative all’AI, e il volume delle conversazioni ha generato anche un’opportunity-to-be-seen pari a 41,7 miliardi di visualizzazioni sul tema, per una portata effettiva stimata a 2,1 miliardi di impression, ovvero, le visualizzazioni effettive di contenuti relativi al tema dell’AI. Inoltre, secondo Google Trends da novembre 2022 la popolarità di ricerche online in italiano relative all’Intelligenza artificiale è schizzata alle stelle, con 19,4 milioni di risultati in 0,34 secondi.

Sentiment positivo, ma il tema coinvolge più gli “addetti ai lavori”  

Per quanto riguarda il sentiment delle verbalizzazioni online, si tratta di conversazioni online con una connotazione in netta maggioranza positiva. La quota marginale di negatività si concentra sulla possibilità che soggetti malintenzionati usino sistemi di Intelligenza artificiale per creare immagini e testi falsi, oppure, ad altri rischi potenziali per privacy e sicurezza.  In ogni caso, il volume delle conversazioni e il numero di soggetti coinvolti è di gran lunga inferiore a quello che emerge da altre analisi effettuate su altre tematiche: pare infatti che il tema AI sia appannaggio prevalentemente degli ‘addetti ai lavori’, mentre la maggior parte delle persone appare ancora poco coinvolta al riguardo.

L’AI è già presente nelle nostre vite

Come ha riportato il quotidiano Avvenire, per avere un’idea, anche se non esaustiva, di quanto e in quanti ambiti venga già usata l’Intelligenza Artificiale basta visitare il sito web Futurepedia. Si tratta di un archivio, aggiornato giornalmente, che ha già raccolto 1.239 applicazioni, divise in 50 categorie. Il tutto, con un’ulteriore divisione tra novità, popolari e verificate. L’AI è già quindi presente nelle nostre vite. Meglio quindi comprenderne vantaggi e svantaggi, e imporre regole chiare sul suo utilizzo prima di esserne sopraffatti. Anche perché, secondo un sondaggio sulle nuove tecnologie condotto da SWG a fine gennaio 2023 gli italiani appaiono divisi.

ChatGPT: in due mesi raggiunti 100 milioni di utenti

Stando ai dati di SWG, il 51% degli italiani è favorevole alle nuove tecnologie, il 44% è parzialmente contrario e il 5% totalmente contrario. Tra coloro che sono parzialmente contrari si arriva al 54% per chi ha un’età compresa tra 45 e 54 anni, e si sale al 55% per chi è in difficoltà economiche.
Eppure, da quando è scoppiato il boom di ChatGPT, il prototipo di chatbot basato su AI e machine learning sviluppato da OpenAI, e specializzato nella conversazione con un utente umano, pare non si parli d’altro. ChatGPT, riporta Ansa, è stato infatti il servizio tecnologico che ha raggiunto più velocemente i 100 milioni di utenti in soli due mesi. Per avere un termine di paragone, TikTok per raggiungere questo traguardo ha impiegato circa nove mesi dal suo lancio globale, mentre Instagram 2 anni e mezzo.

Gli italiani sono favorevoli al mobile messaging per comunicare con le aziende

Gli italiani guardano con favore alla possibilità di comunicare con le aziende tramite il mobile messaging. Un recente sondaggio condotto da Skebby.it, la piattaforma che offre servizi professionali di mobile marketing & service, ha rilevato che nel nostro paese più della metà degli intervistati è favorevole a interagire con i propri brand preferiti via sms o altri sistemi di messaggistica istantanea. E più di un terzo li prenderebbe in considerazione, qualora ne fosse prevista la possibilità.
In base al sondaggio di Skebby.it, se tra le possibilità per contattare i propri brand preferiti sono inclusi gli sms e altri strumenti di messaggistica istantanea, il 54% li sceglierebbe sicuramente e il 34% sarebbe disponibile a valutarne l’utilizzo, rappresentando, quindi, complessivamente l’88% degli intervistati.

Il 61% degli italiani ha dato il consenso a ricevere sms dai brand

La propensione ad avvalersi di questi strumenti è confermata anche dal fatto che il 61% degli italiani intervistati dichiara di aver dato la propria adesione a ricevere sms per essere aggiornato sulle novità, o per ottenere altre informazioni da uno a sei brand, mentre il 24% ha dato il proprio assenso a oltre sette brand.

Ricevere newsletter o seguire le aziende sulle piattaforme social

Quando agli utenti viene richiesto quali sono i diversi strumenti che vengono scelti per rimanere aggiornati sulle novità delle aziende online preferite, il 25% degli intervistati risponde di avere effettuato un’iscrizione al sito web del brand per poter ricevere regolarmente una newsletter.
Un ulteriore 25% di intervistati dichiara invece di seguire i profili delle aziende su Instagram, il 18% li segue su Facebook, il 9% su Twitter e il 10% su altre piattaforme social. L’11% dichiara invece di ricevere regolarmente sms dai brand, e il restante 2% utilizza altri strumenti per rimanere aggiornato.

Gli sms raggiungono anche chi non ha uno smartphone

“Qualora si desideri contattare un’azienda per richiedere informazioni è ben comprensibile che vengano privilegiati gli strumenti mobile, che già la fanno da padrone nelle comunicazioni personali – ha dichiarato Domitilla Cortelletti, Marketing Manager di Skebby.it -. Tra questi spiccano gli sms, che non vengono oramai più utilizzati per comunicare con amici e familiari, e oggi sono quindi, un canale più libero”. Inoltre, gli sms permettono di offrire tassi di lettura molto elevati, e consentono alle aziende di poter raggiungere non solo gli utenti che utilizzano smartphone, “ma anche i normali cellulari, ancora diffusi soprattutto tra gli anziani”.

Gli italiani e la casa, il bene più importante

Per gli italiani la casa è una priorità, così tanto da essere il bene più importante che si possiede. Non solo: è anche quello a cui moltissimi nostri connazionali sono più legati. D’altronde, questa “passione” è testimoniata dai dati Istat, che rivelano che ben il 75% delle popolazione italiana ha una casa di proprietà e il 23% ha anche una seconda casa dove trascorre le vacanze. Una recente ricerca condotta da Eumetra, denominata  “Benessere e Sostenibilità”, rivela che gli italiani sono in generale soddisfatti della propria abitazione. Il punteggio di gradimento si attesta a 7,18 su una scala da uno a dieci. Il che corrisponde a una percentuale assai elevata di “molto” soddisfatti: assegna infatti un “voto” particolarmente alto (da 8 a 10) quasi metà degli intervistati: il 48%. Al contrario, solo il 15% esprime un giudizio più o meno intensamente negativo sulla propria abitazione.

Più soddisfatti gli over e gli abitanti del Nord

In linea di massima, sembrano gli over 64 anni (con una percentuale di molto soddisfatti che svetta oltre il 60%) i più contenti rispetto alla propria abitazione, forse perché abituati a vivere nella stessa casa da molto tempo o forse perché l’hanno adattata alle proprie esigenze. Dal punto di vista della collocazione geografica, non si registrano grandi differenze nel giudizio sulla propria casa, anche se quest’ultimo appare un po’ meno positivo da parte di chi abita nelle regioni meridionali. Naturalmente, ci sono delle evidenti disparità nelle risposte a seconda dello status sociale. Tra chi ha una posizione sociale alta, il favore espresso per la propria abitazione raggiunge livelli più che doppi (61% di “voti” dall’8 al 10) di quanto non si rilevi tra chi, viceversa, ha uno status basso (29%).

Gioie e qualche… dolore

Anche se la casa si conferma un bene prioritario, non mancano però alcune preoccupazioni. I problemi che affliggono i proprietari sono sia di tipo strutturale, ad esempio riguardo ai lavori materiali di mantenimento, sia riferiti alle spese, ordinarie e straordinarie, che ne derivano. Non sorprende, dunque, che più di quattro intervistati su dieci (41%) si dichiarino preoccupati per gli oneri che la gestione della casa comporta (questa percentuale è un po’ più alta tra chi risiede nel Meridione). Com’era prevedibile, questo atteggiamento è presente in misura maggiore (53%) tra chi riveste uno status sociale più basso e ha, di conseguenza, più problemi economici. La preoccupazione, tuttavia, registra livelli elevati anche fra le fasce più giovani della popolazione: dichiara apprensione il 48% di chi ha tra i 25 e i 35 anni, cioè coloro che stanno allestendo la loro prima casa.

Cravatta si o no? Senza è meglio: lo dice la scienza

La cravatta, un classico dell’abbigliamento maschile da ufficio, non da tutti amato. Anzi. A spezzare una lancia a favore degli insofferenti al nodo al collo arriva nientemeno che la scienza. Secondo un nuovo studio condotto in Germana la cravatta infatti potrebbe comprimere vasi sanguigni fondamentali per l’afflusso di sangue al cervello, con prevedibili effetti negativi sul funzionamento cognitivo. Quindi, sulle prestazioni lavorative. Insomma, la cravatta da simbolo di eleganza maschile per antonomasia potrebbe addirittura essere additata come “freno” alla produttività aziendale. Ma è proprio così?

Una ricerca con 30 volontari

Per rispondere al quesito, è stato condotto uno studio ad hoc. Si tratta di una piccola ricerca condotta in Germania da Robin Lüddecke dell’University Hospital Schleswig-Holstein, pubblicata su Neuroradiology, e in seguito rimbalzata online su diverse testate internazionali, dal Daily Mail a New Scientist.

Per condurre la ricerca sono stati arruolati 30 giovani volontari divisi in due gruppi: metà di loro ha indossato la cravatta durante un esame di risonanza magnetica, annodandola con un nodo full Windsor, che prevede una svolta in più rispetto a quello semplice. L’altra metà dei volontari invece non ha indossato la cravatta.

Con la cravatta arriva meno sangue al cervello?

Un flusso regolare e costante di sangue al cervello è fondamentale per fare in modo che i neuroni possano continuare a trasmettere i loro messaggi rendendo possibile la risposta istantanea a un problema. E il risultato della ricerca ha rilevato un calo statisticamente significativo del flusso sanguigno cerebrale tra gli uomini con la cravatta. In particolare, una diminuzione del 7,5%, che non innescherebbe sintomi evidenti, ma potrebbe essere sufficiente a influire sulle performance cognitive.

Imitare il look casual dei big della Silicon Valley

I risultati dello studio potrebbero quindi portare a guardare con occhi diversi il look di molti big della Silicon Valley, da molti considerato eccessivamente casual. Come ad esempio la popolare divisa del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, che in “ufficio” indossa una semplice maglietta grigia. Oppure il dolcevita nero d’ordinanza del compianto fondatore di Apple Steve Jobs. Per non parlare dei giovani fondatori di start up di successo, che hanno fatto dell’abbigliamento casual il loro marchio di fabbrica. Se loro hanno sempre detto di no a ciò che gli autori della ricerca hanno definito uno “strangolamento socialmente desiderabile”, perché non imitarli? Che sia proprio l’outfit indossato uno dei segreti della loro creatività?

Come spendono gli italiani? In dieci anni crollato l’abbigliamento, sale la casa

Come sono mutati negli ultimi dieci anni i budget familiari? Quali sono i settori nei quali gli italiani sono maggiormente disposti a spendere e quali invece quelli nei quali i nostri connazionali tirano la cinghia?  In base ai dati Istat, elaborati da AdnKronos, la “lista della spesa” è molto cambiata nell’ultimo decennio, sebbene all’interno di un saldo rimasto pressoché inalterato.

Giù l’abbigliamento

In discesa libera risulta la somma che le famiglie italiane anziano per l’abbigliamento (-24,8%) mentre s’impenna il costo dell’abitazione (+19,3%).  Il budget medio mensile di ogni famiglia italiana, però, è rimasto sostanzialmente uguale nell’ultimo decennio: era infatti di 2.461 euro nel 2006, mentre nel 2016 è arrivato a 2.524 euro, con un incremento di solo 63 euro (+2,6%). I dati contenuti nelle tabelle dell’Istat confermano le difficoltà che da anni sta attraversando il settore dell’abbigliamento e calzature, così come denunciato dai commercianti che operano nel comparto.

Alimentare, in Italia meno soldi per la spesa

La divisione nelle due categorie principali (alimentare e non alimentare) evidenzia che quello che è sceso di più è il comparto alimentare. Per riempire dispensa e frigorifero, i nostri connazionali hanno ridotto la spesa mensile da 467 euro a 448 euro (-4,1%). Cambia anche la spesa delle famiglie italiane per prodotti alimentari, con la voce ‘frutta e verdura’ che cresce da 84 euro a 102 euro (+21,4%) e quella ‘carne’ che scende da 106 euro a 93 euro (-12,3%). Per latticini e uova le uscite arrivavano a 64 euro nel 2006 e sono scese a 58 euro nel 2016 (-9,4%); in calo anche la quota destinata ai prodotti ittici, che da 42 euro è arrivata a 36 euro (-14,3%). Le uscite per i beni non alimentari sono invece passate da 1.994 euro a 2.076 euro, con un incremento del 4,1%.

Meno moda, più salute

Un po’ a sorpresa, nell’ultimo decennio la quota destinata per l’acquisto di vestiti e scarpe è passata da 157 euro a 118 euro. Su base annuale, si tratta di una sforbiciata da 468 euro. Cresce invece la spesa per la salute, con la quota destinata ai servizi sanitari che passa da 86 euro a 114 euro, registrando un incremento del 32,6% nel decennio.

Trasporti, budget ridotti del 25%

Appaiono in deciso calo le spese destinate alla voce trasporti, che passano da 362 euro a 271 euro, con un decremento del 25,1%. La quota – già risicata – destinata all’istruzione si riduce ulteriormente passando da 27 euro a 14 euro (-45,4%). Per il tempo libero e cultura le uscite nel 2006 erano pari a 111 euro e dieci anni dopo sono arrivate a 130 euro (+17,1%).

Avere un cane è meglio che andare in palestra. Fa bene anche in tarda età

Altro che abbonamento alla palestra o ai corsi di fitness. Un cane è quello che serve per stare bene e in salute, facendo il giusto movimento fisico quotidiano anche quando si è anziani. Lo rivelano diversi studi condotti da importanti università americane. Uno dei più recenti, svoltosi ad East Anglia, ha coinvolto oltre 3mila persone di età compresa fra 49 e 91 anni, di cui circa il 20% possedeva un cane. Ogni partecipante è stato dotato di un accelerometro, così da poter monitorare e misurare l’attività fisica di ogni individuo parte dello studio. L’indagine è durata una settimana: la ricerca ha messo in luce che chi ha un cane fa in media circa 30 minuti in più di attività fisica al giorno rispetto a chi non lo ha. Una delle ragioni di questa differenza, spiegano i ricercatori, risiede nel fatto che chi possiede un cane deve portarlo a spasso ogni giorno, qualsiasi sia il meteo o il periodo dell’anno. E insieme al movimento arrivano i benefici per l’intero corpo.

Vantaggi per uomo e cane

“Lo studio ci dà delle informazioni importanti su come motivare le persone a rimanere attive anche dopo una certa età. Gli interventi sull’attività fisica di solito spingono le persone a focalizzarsi sui benefici per se stesse, ma in questo caso entrano in gioco i bisogni del cane. Essere spinti da qualcosa di diverso dalle nostre necessità può essere una potente motivazione” riferiscono i ricercatori.

Abbasso il colesterolo

Studi statunitensi dimostrano che una passeggiata di 30 minuti insieme al proprio amico a quattro zampe serve a ritrovare non solo la forma fisica, ma anche a ridurre i rischi di ipertensione e colesterolo alto. Inoltre, chi va a spasso e gioca con il cane – dicono le statistiche – fuma anche meno rispetto a chi non ha un cucciolo.

Contrastare il sovrappeso

Sempre in base agli studi effettuati, è emerso che chi non possiede un cane (oppure chi non lo porta fuori) ha il 58% di probabilità in più di essere in sovrappeso. Una prova evidente di quanto avere un animale domestico sia un toccasana per la salute e pure per la linea.

Un amico per il buonumore

Oltre a quello strettamente fisico, c’è anche un aspetto psicologico che non va assolutamente sottovalutato. E’ ormai assodato che la compagnia di un cane aiuti a combattere la depressione e renda più facile la socializzazione con le altre persone. Quindi, pet therapy per tutti!