Pmi italiane a rischio default: sono l’anello debole della pandemia

Il Fondo monetario internazionale lancia l’allarme: le piccole e medie imprese restano l’anello debole della pandemia, perché spesso non riescono ad accedere ai finanziamenti per poter continuare l’attività, e rischiano quindi di fallire.

La pandemia da coronavirus è entrata in una nuova fase, il Covid-19 continua a diffondersi, anche se a velocità diverse nei vari Paesi. E in questo quadro sono le piccole imprese a rischiare di non farcela. Soprattutto quelle italiane.

Spesso infatti non hanno accesso ai finanziamenti e non possono facilmente ottenere prestiti per mantenere l’attività. E per loro il rischio di fallimento e default resta molto alto.

Senza un sostegno adeguato i fallimenti delle piccole imprese potrebbero triplicare

Questo è l’allarme lanciato dal Fondo monetario internazionale nella nota di sorveglianza messa a punto per il G20 dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali. E la nota evidenzia come potrebbe essere proprio l’Italia il Paese più colpito su questo fronte, riporta Agi.

“La nostra analisi su un campione di 17 Paesi – si legge nel dossier del Fmi – suggerisce che i fallimenti delle Pmi potrebbero triplicare”. Senza un adeguato sostegno politico la percentuale di Pmi in default potrebbe infatti passare da una media del 4% prima della pandemia al 12% nel corso del 2020.

I settori dei servizi sono i più colpiti

“L’aumento maggiore – si legge ancora nella nota del Fmi – si verificherebbe in Italia, a causa al forte calo della domanda aggregata e dell’elevata quota di produzione nelle industrie ad alta intensità di contatto. I settori dei servizi sono i più colpiti, con i tassi medi di fallimento nel Paese che aumentano di oltre 20 punti percentuali nei servizi amministrativi, nell’arte, nell’intrattenimento e tempo libero e nell’istruzione, mentre le attività essenziali, come l’agricoltura, l’acqua e i rifiuti, registrano solo piccoli aumenti nei tassi di fallimento”.

Fallimenti diffusi potrebbero causare instabilità finanziaria

A quanto si legge ancora nella nota dell’istituto di Washington, poi, oltre un terzo delle piccole imprese di Paesi come Canada, Corea, Regno Unito e Stati Uniti è preoccupato della propria redditività, o prevede di chiudere definitivamente entro il prossimo anno. Secondo gli esperti del Fondo “I diffusi fallimenti potrebbero pesare sulla ripresa economica, a causa degli ingenti costi di riallocazione del lavoro e del capitale, e causare instabilità finanziaria”.

La domanda chiave è quindi: come dovrebbero rispondere i politici per evitare che la difficoltà delle Pmi si rifletta sull’economia globale?

Gli italiani non rinunciano più al tempo da dedicare agli affetti

Con la pandemia i piccoli e i grandi gesti quotidiani sono cambiati radicalmente. Tra incertezze per il futuro, tante domande e desideri sulla nuova normalità, quasi un italiano su due, il 42%, oggi dà un nuovo valore al tempo per sé e per i propri affetti. Oltre a non essere più disposti a rinunciare al tempo da dedicare agli affetti si aggiungono maggiori esigenze di sicurezza, e più attenzione verso gli altri e verso l’ambiente. Ad esempio, il 17% non sarebbe più disposto a rinunciare ai propri hobby, e il 10% al relax quotidiano.  Questo è il quadro emerso dall’analisi di Ipsos per la NewCo SisalPay5, la società nata alla fine del 2019 dall’unione di SisalPay nel settore dei pagamenti, e di Banca 5 di Intesa Sanpaolo nei servizi bancari di prossimità.

Sentimenti e nuove consapevolezze con cui affrontare la fase di ripartenza

L’analisi traccia una fotografia inedita dei sentimenti e delle nuove consapevolezze con cui gli italiani stanno affrontando la nuova fase di ripartenza del Paese. E da quanto emerge a mancare di più durante la fase di lockdown sono stati i gesti legati alla socializzazione, la vicinanza e il contatto con le persone care, le cene, gli aperitivi e i viaggi. Ma anche quelli legati al sentirsi liberi, come poter decidere di spostarsi liberamente, e alla propria sfera personale e identitaria, ovvero il proprio spazio fisico e mentale, l’indipendenza, l’intimità.

Nuove abitudini di vita e di consumo legate al proprio quartiere

La ricerca ha indagato anche le abitudini legate al canale di prossimità di SisalPay 5, composto da circa 50.000 esercizi, tra tabaccherie, bar, ed edicole. Anche nel periodo di emergenza, con 30mila punti attivi (solo tabacchi ed edicole), il gruppo ha garantito alla comunità di accedere a una gamma di servizi finanziari di base, come prelievi e bonifici, e di pagamento, come bollette, carte prepagate e telefoniche, riporta Askanews. Il ruolo sociale del modello di proximity bank di quartiere si sta rivelando ancor più determinante in questa graduale fase di ripartenza socio-economica. All’interno di questo contesto, infatti, le persone stanno vivendo sempre di più in una dimensione di vicinato, con nuove abitudini di vita e di consumo legate al proprio quartiere. Insomma, sì liberi di muoversi, ma gli italiani non hanno ancora voglia di abbandonare il loro “territorio” fatto di negozi e servizi di prossimità. Senza dimenticare che la micro-impresa e i piccoli esercenti rappresentano un motore vitale nell’economia italiana.

La nuova normalità del dopo Covid

Le neo abitudini, acquisite in modo forzato e dettate dalle regole impartite per la ripresa, potrebbero lasciare il segno, e riscrivere il nostro stile di vita a lungo. Siamo stati troppo tempo chiusi in casa, ma l’abbiamo anche riscoperta vivendola in ogni angolo. Abbiamo vissuto nuovi conflitti ed equilibri in famiglia, adottato nuovi sistemi di pulizia e sanificazione, e accolto in casa la scuola dei figli e il nostro lavoro. Abbiamo perso il sonno, spinto l’acceleratore sul digitale, e vissuto o assistito a un crescente senso di responsabilità sociale. Aspetti che hanno preso il posto di altre priorità pre-coronavirus, e che ora incidono sulla nostra vita, influenzando molte delle nostre scelte, anche in termini di spesa. Qual è quindi la nuova normalità dopo il Covid?

Le industrie già cavalcano il nuovo stile di vita più casalingo

Cos’è la nuova normalità è proprio la domanda a cui risponde lo Special report 2020: the new normal, l’analisi del laboratorio BUV Doxa sui trend emergenti. Secondo gli autori le industrie più attente ai trend già cavalcano il nuovo stile di vita, senza dubbio più casalingo. La casa è divenuta centrale nella vita delle persone e si cercano nuove funzionalità di oggetti smart, tecnologie sempre più efficienti e una nuova organizzazione degli spazi. Anche l’e-commerce ha avuto un’impennata senza precedenti, e sarà difficile rinunciare allo shopping online. Ed è ancora alta, e lo sarà a lungo, l’attenzione per l’igiene e la pulizia degli spazi abitati.

La riscoperta dell’angolo bar, i giochi da tavolo e la moda stile homewear 

Se la moda vira verso lo stile homewear sfornando abiti-pigiami cozy (accoglienti), dopo il freddo minimalismo l’opulenza trionfa nelle case in nome di una nuova convivialità, e perfino i purificatori d’aria sono diventati oggetti tecnologici, di arredo e design. Architetti e designer rispolverano l’angolo bar e i carrelli di cristallo e ottone per vini, liquori e ghiaccio per fare cocktail. Gli aperitivi casalinghi in compagnia diventano ultra chic e arrivano nuovi vini rosé per riunioni fra amiche, anche analcolici e a base di infusi di erbe, canapa inclusa. Giocheremo a carte, a dadi, a backgammon. E sono già pronti nuovi scrigni contenenti giochi di società e liquori a bassa gradazione alcolica.

Dall’iperconnessione agli acquisti eticamente corretti

A causa dell’isolamento siamo stati tutti molto connessi, e di colpo il digitale è diventato intergenerazionale. Gli aspetti psicologici e sociali imposti dal lockdown, inoltre, stanno giocando un ruolo centrale nelle nostre vite, “abbiamo scoperto di fare parte di qualcosa di più grande e che esiste una collettività più ampia che necessita di essere salvaguardata e sostenuta adeguatamente”, affermano gli analisti Doxa.

Lo stile di vita etico che include valori morali è infatti un’abitudine crescente. Praticata in molti campi e stimolata sotto l’impulso dell’emergenza sanitaria, include anche il riciclo dell’usato, un più corretto smaltimento dei rifiuti, e l’acquisto di prodotti di brand eticamente corretti e trasparenti.

Un giovane italiano su 2 è pessimista per il proprio futuro

Un giovane italiano su due è pessimista per il proprio futuro, e se più di un quarto dei giovani italiani prevede che svolgerà lavori meno retribuiti uno su quattro teme di dovere affrontare un lungo periodo di disoccupazione.

È quanto emerge da un sondaggio condotto da IZI in collaborazione con Comin & Partners, sui giovani e il futuro alla luce delle conseguenze prodotte dalla diffusione del coronavirus nel nostro Paese. Dal sondaggio emerge inoltre che a dichiararsi ottimista è una minoranza dei giovani, il 21%, mentre il 27% ritiene che il proprio futuro rimarrà invariato rispetto al periodo precedente al Covid-19.

Il 51% ha un’occupazione, il 17% studia ancora

Tra gli intervistati poco più della metà (51%) ha un’occupazione, il 17% studia ancora, il 16% è disoccupato o in cerca di un lavoro, e il 10% è in cassa integrazione. Tra coloro che lavorano, due italiani su tre (66%) hanno un contratto a tempo indeterminato, il 17% invece ha un contratto a tempo determinato, mentre il 10% lavora con la partita IVA. Il sondaggio è stato effettuato sui residenti in Italia e il campione ha incluso 1009 persone tra i 18 e i 40 anni, intervistate in modalità Cati-Cawi e stratificate proporzionalmente per classi d’età (18-25 e 26-40). Le interviste sono state realizzate tra il 27 e il 28 di aprile.

Un atteggiamento di sfiducia di fronte alla crisi

Il sondaggio di IZI fa emergere quindi un atteggiamento di sfiducia da parte dei giovani di fronte alla crisi. Più di due quinti degli intervistati, il 41%, infatti, si adeguerà passivamente al nuovo mercato del lavoro, mentre meno di un quarto (23%) si attiverà per cambiare ambito lavorativo rispetto a quello attuale o desiderato. Il 22% cercherà di aggiornarsi attraverso corsi di formazione specialistici, e un’esigua minoranza, il 12%, pensa che il trasferimento all’estero sia la soluzione migliore per cambiare la propria condizione, riporta Agi.

Solo il 18% ritiene indispensabile investire nell’innovazione tecnologica o nella formazione (13%) se si vuole provare a superare la crisi.

La preoccupazione maggiore riguarda la situazione economica nazionale e internazionale

La preoccupazione maggiore riguarda la situazione economica nazionale e internazionale, al primo posto fra i timori che più rendono i giovani apprensivi per il loro futuro (45%). Per questo motivo, forse, quasi la metà dei giovani intervistati (45%) si aspetta che il Governo stanzi maggiori aiuti per le imprese, mentre per il 24% andrebbero aumentati gli ammortizzatori sociali.

A pesare “molto” sull’umore dei giovani italiani sono però anche la salute propria e quella dei propri cari (35%) e il benessere psicologico (30%), messo a dura prova dal periodo che il Paese sta attraversando.

Italiani e lockdown: per il 74% è giusto, ma doveva iniziare prima

Il Dpcm dell’11 marzo scorso ha esteso il lockdown a tutto il territorio nazionale. Tra lezioni a distanza, smartworking, uscite consentite solo per fare la spesa, andare in farmacia, o per necessità inderogabili, in breve tempo le abitudini degli italiani sono cambiate. La situazione di isolamento imposta dall’emergenza Coronavirus impone lo stravolgimento della routine e modifica lo stile di vita degli italiani. Ma cosa pensano i nostri connazionali del lockdown? E come lo stanno vivendo? Il 74% di loro ritiene giuste le rigide misure di contenimento, ma allo stesso tempo evidenzia che per arginare l’epidemia il lockdown doveva essere imposto prima, e con misure più stringenti.
Il 41% si aspetta di tornare alle prime forme di normalità a maggio
Si tratta di alcuni risultati emersi dall’Osservatorio Lockdown. Come e perché sta cambiando le nostre vite, realizzato da Nomisma, la società italiana di consulenza, ricerca e advisory, su un campione di 1.000 italiani responsabili degli acquisti da 18 a 65 anni. L’indagine analizza quindi l’impatto del lockdown sulla vita dei cittadini, dallo stato d’animo ai consumi, dalle caratteristiche della quarantena (comfort e composizione dell’abitazione, compagnia di altri familiari e tempo libero), fino ai desideri degli italiani per il post-Covis. Ma quando finirà la quarantena nazionale? Il 41% degli intervistati si aspetta di tornare alle prime forme di normalità a maggio, e il 27% a giugno.
Per il 17% le istituzioni non hanno contrastato l’epidemia in maniera inadeguata
Per quanto riguarda lo stato d’animo, l’Osservatorio evidenzia come nelle ultime 3 settimane soltanto il 14% è stato di buon umore, mentre il 43% ha vissuto alti e bassi dettati dalla situazione di incertezza e dall’isolamento. Ma soprattutto per il timore di ammalarsi, anche se il 41% degli italiani è preoccupato soprattutto per la salute dei propri cari più che per la propria (22%).
Quanto alla fiducia nella capacità di far fronte all’epidemia da parte delle istituzioni, riporta Askanews, il 17% del campione ritiene l’azione intrapresa inadeguata, quota che sale al 26% nelle province di maggior contagio in Lombardia.
Promossi Ssn e Protezione Civile, la Ue bocciata
In ogni caso, il Sistema sanitario nazionale e la Protezione Civile sono le istituzioni in cui gli italiani ripongono maggiormente fiducia e gradimento, e i giudizi pienamente positivi (8+9+10) sono condivisi dal 75% degli italiani.
Più critica la valutazione sull’operato delle Regioni, verso le quali la quota dei pienamente soddisfatti si ferma al 47%. Durissima poi l’opinione rispetto alle azioni di contrasto alla crisi messe in atto dall’Unione Europea, con il 79% degli italiani che attribuisce alla Ue giudizi gravemente insufficienti.

Nel 2030 il trasporto sostenibile supererà quello con l’auto privata

Il 2030 segnerà una svolta per la mobilità sostenibile nelle città più grandi del mondo. Nei prossimi 10 anni le auto faranno il 10% dei tragitti in meno, perché l’aumento della sharing economy, della multimodalità e dei veicoli autonomi, oltre all’invecchiamento della popolazione, ridurranno drasticamente il bisogno di possedere un’automobile propria. Entro il 2030, quindi, le modalità di trasporto green rappresenteranno il 49% del totale degli spostamenti effettuati nelle città, contro il 46% dell’uso delle automobili, attualmente usate nel 51% dei viaggi. Lo rivela Mobility Future, lo studio di Kantar presentato al UN-Habitat World Urban Forum di Abu Dhabi

Dal car sharing alla bicicletta

L’uso dei taxi, di corse condivise, come il car sharing o il ride hailing, che permette di salire a bordo di un veicolo già in circolazione e condividere parte del tragitto con altri viaggiatori, insieme ad altre modalità di trasporto, rappresenteranno il restante 5% sul totale degli spostamenti effettuati nelle città.

La bicicletta è sulla buona strada per diventare il mezzo di trasporto con la più rapida crescita, considerando un incremento previsto del 18% da ora fino al 2030. La scelta di muoversi a piedi, invece, crescerà del 15%, così come si prevede un aumento del 6% nell’utilizzo dei mezzi pubblici. Queste nuove abitudini di mobilità sono sostenute da vari progetti a livello globale, come l’estensione delle piste ciclabili, l’implementazione dei sistemi di sharing, i progetti di pedonalizzazione e miglioramento del trasporto pubblico.

Circa 36,7 milioni di cittadini cambieranno le abitudini di trasporto

Secondo Kantar, stando alle 31 città coinvolte nell’indagine, circa 36,7 milioni di cittadini cambieranno le abitudini di trasporto nei prossimi 10 anni. Manchester è la città dove si terrà il più grande cambiamento in termini di mezzi di trasporto usati, seguita da Mosca e da San Paolo.La ricerca ha evidenziato poi come il 40% delle persone, globalmente, siano aperte all’idea di usare soluzioni di trasporto più innovative. Ma non tutte le città sono preparate a una trasformazione radicale della mobilità. Le città più pronte dal punto di vista tecnologico, in base al livello di disponibilità a condividere i propri veicoli, Pil e diffusione delle strutture per pagamenti digitali, sono risultate Amsterdam, Londra e Los Angeles.

Milano al 6° posto del Transforming cities Index

Milano è destinata a diventare una delle città che più si rinnoverà dal punto di vista dei trasporti, classificandosi al 6° posto del Transforming cities Index. E da oggi al 2030 saranno 552.000 i residenti che cambieranno le proprie abitudini di spostamento, il 17% della popolazione. La bicicletta sarà il ​​mezzo di trasporto in più rapida crescita, anche se il sistema di mobilità attuale di Milano è ancora dominato dal trasporto pubblico e dalle singole auto private. Tuttavia, i venti del cambiamento possono già essere avvertiti. Molti milanesi infatti già utilizzano mezzi di trasporto alternativi, e dichiarano di auspicare a un mix più ampio di alternative eco-sostenibili.

Google Maps compie 15 anni, prossima sfida l’indirizzo digitale

Lanciata l’8 febbraio 2005 Google Maps festeggia quest’anno il suo quindicesimo compleanno. Al suo attivo conta ormai un miliardo di utenti, oltre 220 paesi mappati nel mondo, il monitoraggio del traffico, le informazioni sul trasporto pubblico, le recensioni dei ristoranti, ma anche accuse di violazione della privacy. Dal giorno del suo lancio sui computer ora è approdata a milioni di smartphone, ed è diventata un terreno fertile per testare l’Intelligenza artificiale. Tra gli obiettivi futuri di Google Maps c’è infatti quello di dare un indirizzo digitale alle persone che non ne hanno uno fisico.

L’AI porta l’alta qualità nelle informazioni locali

L’AI “È una delle prossime frontiere di Maps – spiega Sundar Pichai, Ceo di Alphabet e di Google – con un indirizzo digitale miliardi di persone saranno in grado di accedere a servizi bancari e di emergenza, ricevere posta e consegne personali e aiutare le persone a sponsorizzare le proprie attività. È ancora all’inizio ma siamo entusiasti del potenziale”.

“Vi ricordate cosa erano le mappe quindici anni fa? – commenta Jen Fitzpatrick, Senior Vice President di Google Maps -. Mi torna alla mente un viaggio fatto in Europa con tutte quelle cartine enormi. Le principali scoperte nell’Intelligenza artificiale ci hanno aiutato a portare più rapidamente informazioni locali di alta qualità in più parti del mondo”, spiega l’ingegnere.

Con il 67% del mercato monopolizza il settore

Grazie all’apprendimento automatico sono stati tracciati i contorni degli edifici, come mai nei dieci anni precedenti, oppure sono stati riconosciuti i numeri di case e strade scritte a mano, come è accaduto in Nigeria, difficili da vedere anche per chi passa al volante. Forse è per questo che nel corso degli anni Google Maps ha praticamente monopolizzato il settore. Con una quota di mercato del 67%, è seguita a distanza da Waze, con il 12% (sempre di proprietà di Google), Apple Maps, con l’11%, e MapQuest (8%, dati The Manifest del 2018).

Non solo mappe e indicazioni stradali

Dal giorno della sua nascita Google Maps non offre più solo mappe o indicazioni stradali. In 15 anni sono state raccolte 170 milioni di immagini, tra cui il Monte Bianco, il parco Yosemite e la fioritura dei ciliegi a Tokyo. E tra le opzioni di Maps più suggestive c’è Earth, che attualmente offre oltre 36 milioni di miglia quadrate di immagini satellitari ad alta definizione, ma anche Street View, che offre viste panoramiche a 360 gradi di strade e luoghi, riporta Ansa.

Negli anni passati a mettere in difficoltà il popolare servizio sono state però le accuse di violazione della privacy da parte di chi è finito nell’app a sua insaputa.

Di recente, inoltre, l’artista Simon Weckert è riuscito a ingannarne gli algoritmi, portando 99 telefoni a spasso per le vie di Berlino, tutti con l’app avviata. L’alta concentrazione di telefoni e l’incedere lento ha fatto credere alle Mappe di Big G che le vie fossero intasate. E l’artista ha “caricato” l’esperimento-provocazione su YouTube. 

Gli ultimi aggiornamenti Microsoft per risolvere le vulnerabilità

Sono disponibili nuovi aggiornamenti di sicurezza per Microsoft. Ed è caldamente consigliato installarli al più presto. La società di Redmond ne ha infatti emessi diversi che risolvono vulnerabilità multiple in svariati prodotti Microsoft, di cui le più gravi possono causare l’esecuzione di codice arbitrario da remoto”. Gli aggiornamenti, spiegano gli esperti del CERT, Computer Emergency Response Team, riguardano Microsoft Windows, Internet Explorer, Microsoft Office e Microsoft Office Services and Web Apps, ASP.NET Core, .NET Core, .NET Framework, OneDrive for Android e Microsoft Dynamics. Gli upgrade possono essere scaricati dal sito Microsoft Download Center, e per i sistemi desktop, possono essere ottenuti automaticamente mediante Microsoft Update.

Windows 10 presenta vulnerabilità di gravità elevata

Gli aggiornamenti includono fix per “una vulnerabilità di gravità elevata nelle CryptoAPI di Microsoft Windows 10 e Windows Server 2016-2019 (32 e 64 bit), legata a una validazione non corretta di certificati ECC (Elliptic Curve Cryptography), che può consentire a un attaccante di firmare il codice di un eseguibile malevolo utilizzando un certificato non valido, facendo in modo che appaia provenire da una fonte affidabile (CVE-2020-0601)”, segnala il CERT. Oltre a fix per “due vulnerabilità critiche nel componente Remote Desktop Gateway (RD Gateway) di Microsoft Windows, che possono consentire a un attaccante di eseguire codice arbitrario sul sistema bersaglio inviando richieste appositamente predisposte che non richiedono autenticazione o interazione d’utente (CVE-2020-0609, CVE-2020-0610)”, e una vulnerabilità critica nel client Remote Desktop Services (RDP) che può consentire a un attaccante di eseguire codice arbitrario sul sistema sottostante quando l’utente si connette a un server malevolo (CVE-2020-0611).

Sistemi potenzialmente a rischio di attacchi malevoli

E ancora, “una vulnerabilità critica in ASP.NET Core legata a una gestione impropria delle richieste Web, che può consentire a un attaccante di provocare condizioni di denial of service (CVE-2020-0602)”, e una legata a una gestione impropria degli oggetti in memoria, che può consentire a un attaccante di eseguire codice arbitrario nel contesto dell’utente corrente (CVE-2020-0603)”.  E “vulnerabilità multiple critiche in .NET Framework legate a errori nella verifica del codice sorgente di markup di un file, che possono consentire a un attaccante di eseguire codice arbitrario nel contesto dell’utente corrente (CVE-2020-0605, CVE-2020-0606)”.

Applicare al più presto gli aggiornamenti necessari

Infine, un’altra vulnerabilità critica in .NET Framework “legata a una validazione impropria dell’input, che può consentire a un attaccante di ottenere il controllo completo del sistema affetto (CVE-2020-0646)”, e una “in Internet Explorer, legata a una gestione impropria degli oggetti in memoria, che può consentire a un attaccante di eseguire codice da remoto nel contesto dell’utente corrente (CVE-2020-0640)”. Viene quindi raccomandato a gestori e utenti di prendere visione dei bollettini di sicurezza Microsoft di gennaio 2020, e applicare al più presto gli aggiornamenti necessari.

Natale sostenibile per l’78% degli italiani

Quest’anno la spesa natalizia sarà all’insegna della sostenibilità ambientale per il 78% degli italiani. La maggioranza degli italiani sembra infatti preferire solo piatti preparati con l’acquisto di prodotti alimentari sostenibili per la tavola dei giorni di festa. Tra i motivi di questa scelta, il 36% afferma di considerare i benefici per la propria salute, mentre il 23% dichiara di voler contribuire al benessere degli animali. Lo ha scoperto lo studio European Food Responsibility Study, realizzato da Ibm e Morning Consult, sulle scelte e i comportamenti di consumo durante le ricorrenze di fine anno. Si tratta di un’analisi che ha coinvolto Italia, Spagna e Regno Unito, ed è stata finalizzata a rilevare il grado di conoscenza, le abitudini e la sensibilità dei consumatori in materia ambientale e alimentare.

Un carrello della spesa attento alla provenienza degli alimenti

Per quanto riguarda il carrello della spesa degli italiani, secondo la ricerca l’88% tende a porre maggiore attenzione alla provenienza degli alimenti, in particolare per quanto riguarda l’origine etica e responsabile. Gli analisti segnalano ancora che il 63% dei consumatori non si lascia scoraggiare da un innalzamento dei prezzi di acquisto, se questi sono indice di una provenienza responsabile del cibo, riporta una notizia Ansa.

No allo spreco alimentare, si alla tracciabilità con la blockchain

Alta è anche l’attenzione per il tema degli sprechi alimentari (75%) con un 53% che ha affermato di prediligere l’acquisto presso catene della distribuzione che adottano iniziative volte a ridurre lo spreco alimentare. Tra i prodotti che renderebbero più probabile l’acquisto di un articolo ci sono quelli con le etichette biologiche o non Ogm. Ma la ricerca rileva anche l’attenzione dei consumatori verso la tracciabilità, con 9 intervistati su 10 che ritengono molto o relativamente prezioso disporre di alimenti tracciabili attraverso la blockchain.

Un albero vero e non in plastica salvaguarda il suolo

Relativamente alla salvaguardia del suolo più dell’80% dei consumatori ha espresso ”preoccupazione per il degrado del suolo”, e tre quarti degli intervistati hanno dichiarato di essere disponibili a pagare di più per prodotti alimentari coltivati in terreni sostenibili. A Natale, ricorda inoltre Confagricoltura, acquistare alberi veri, quelli naturali e non in plastica, ”è una scelta sostenibile perché fa bene all’ambiente, alla salute ed è di sostegno ai comparti florovivaistico e boschivo, essenziali per l’economia nazionale. Gli abeti, di varietà pregiate come il rosso o il bianco – continua Confagricoltura – provengono da coltivazioni specializzate o da cime derivanti da potature o sfoltimenti, indispensabili per la salute dei boschi”.

In dieci anni sono spariti quasi 200mila negozi di quartiere

I tagli dei consumi delle famiglie italiane dal 2007 sono stati pari a 21,5 miliardi di euro. A fare le spese della crisi sono stati anche le piccole botteghe artigiane, che dal 2009 sono diminuite del 12,1%, corrispondenti a circa 178.500 unità, mentre i negozi di quartiere sono scesi di quasi 29.500 unità, -3,8%. Una perdita che complessivamente registra la sparizione di quasi 200mila negozi di vicinato in 10 anni. A fare il punto sulla situazione è uno studio della Cgia, secondo il quale la spesa complessiva dei nuclei familiari anche lo scorso anno ha registrato una frenata, ammontando a poco più di 1.000 miliardi di euro.

Dal 2007 la contrazione più importante riguarda l’acquisto dei beni, -10,3%

Sotto il profilo della composizione della spesa tra il 2007 e il 2018 la contrazione più importante ha riguardato l’acquisto dei beni (-10,3%), mentre i servizi sono cresciuti del 7%.

In dettaglio, i beni non durevoli (prodotti cura della persona, medicinali, detergenti per la casa, etc.) sono crollati del 13,6%, quelli semidurevoli ( abbigliamento calzature, libri, ecc.) si sono ridotti del 4,5%, e quelli durevoli ( auto, articoli di arredamento, elettrodomestici, ecc.) del 2,8%.

In Sardegna “muoiono” le aziende artigiane, in Valle d’Aosta il piccolo commercio

La regione più colpita dalla moria di piccole aziende artigiane è stata la Sardegna, che negli ultimi 10 anni ha visto scendere il numero del 19,1%, riporta Adnkronos. Seguono l’Abruzzo, con il 18,3%, e l’Umbria, con il 16,6%.

L’andamento delle imprese attive nel piccolo commercio, invece, ha subito la riduzione più significativa in Valle d’Aosta, con il 18,8%, in Piemonte con il 14,2%, e in Friuli Venezia Giulia con l’11,6%. Rispetto al trend negativo, risultano essere di segno opposto la Calabria (+3%), il Lazio (+3,3%) e la Campania (+4,6%).

Negli ultimi 11 anni le vendite al dettaglio sono scese del 5,2%

Le vendite al dettaglio, che costituiscono il 70% circa del totale dei consumi delle famiglie, negli ultimi 11 anni sono scese del 5,2%. Tuttavia, quelle registrate presso la grande distribuzione sono aumentate del 6,4% mentre nella piccola distribuzione (botteghe artigiane e piccoli negozi) sono precipitate del 14,5%. Sebbene il gap si sia decisamente ridotto, anche in questi primi 9 mesi del 2019 i segni sono rimasti gli stessi, +1,2% nella grande distribuzione e -0,5% nella piccola distribuzione. In ogni caso, la caduta dell’acquisto dei beni è proseguita anche quest’anno. Tra il primo semestre 2019 e lo stesso periodo del 2018 la contrazione è stata infatti dello 0,4%, con una punta del -1,1% dei beni non durevoli.