Smartphone, il 37% degli italiani lo ha ricevuto in età scolare

Il 37% degli italiani che oggi sono adulti ha ricevuto il suo primo cellulare in età scolare, e tra questi, 563.000 lo hanno avuto addirittura prima dei 10 anni. Gli italiani hanno iniziato a usare lo smartphone in età scolare, lo evidenzia un’indagine realizzata per Facile.it da mUp Research e Norstat, svolta tra il 29 aprile e il 3 maggio 2021 attraverso la somministrazione di 1.012 interviste CAWI a un campione di individui in età compresa fra 18 e 74 anni. E dai risultati della ricerca non è difficile constatare come oggi l’età media del primo telefono si sia molto ridotta rispetto al passato.

Più di 6 intervistati su 10 vanno a dormire con il cellulare 

La fine delle vacanze e il rientro a scuola potrebbe quindi rappresentare per molti bambini e ragazzi il momento per avere il primo cellulare. Ma quanto e come usano lo smartphone i giovanissimi? E a che età lo hanno ricevuto? Se si guarda al luogo dove chi ha ricevuto il cellulare in età scolare lo utilizza con più frequenza risulta che al primo posto c’è il letto. Infatti, vanno a dormire con il cellulare più di 6 intervistati su 10. Un dato che fa emergere il diffondersi di una cattiva abitudine, che oltre a incidere negativamente sulla qualità del sonno, ha conseguenze anche sul pericolo di isolamento dalla famiglia e dalla realtà circostante. 

Telefonare, videochiamare, mandare messaggi e navigare sui social

Al secondo posto tra i luoghi dove si utilizza con maggiore frequenza lo smartphone vi è il salotto, mentre al terzo il bagno, un’area della casa dove più di un intervistato su 3 dichiara di usare regolarmente il cellulare. Ma cosa fanno più frequentemente i giovani con lo smartphone? Telefonare, ovviamente, ma soprattutto videochiamare e mandare messaggi. Queste rimangono ancora le funzionalità più sfruttate (74,5%), mentre ormai ha ottenuto quasi pari importanza l’uso dei social network. Tanto che il 62% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare per svago e in modo ricorrente app come Facebook, Twitter, Instagram, Tik Tok e altri social.

Perderlo, romperlo e perdere i dati le paure più diffuse

Naturalmente, postare foto e video è imprescindibile per i social, infatti il 47% degli intervistati ha affermato che la fotocamera è una delle funzioni più usate dello smartphone. Poco meno, il 43%, ha invece dichiarato di usare frequentemente il cellullare per ascoltare musica. È inoltre curioso notare come alla domanda “qual è la tua paura più grande legata allo smartphone?” le preoccupazioni più grandi risultino quella di perderlo (47%), di romperlo (42%), o di perdere i dati (35%). Ma a spaventare di più i giovani non è tanto il danno materiale al dispositivo, quanto l’idea di rimanere senza, ovvero, di restare “sconnessi” dal mondo. 

Addio macchina fotografica in vacanza, ora c’è lo smartphone

Lo smartphone, sempre più diffuso, accessoriato e facili da utilizzare, è dotato di comparti fotografici all’avanguardia e ha letteralmente spiazzato le macchine fotografiche tradizionali, almeno, per tutti gli utenti. aumentati anche loro, che si dilettano nell’arte della fotografia, soprattutto durante le vacanze.  A confermarlo è l’ultimo sondaggio condotto dal brand di telefonia Wiko all’interno della sua Instagram Community. In questo sondaggio a chiusura dell’estate Wiko ha voluto indagare gli ultimi trend di utilizzo dello smartphone. E se secondo il 79% degli intervistati da quando c’è lo smartphone si fotografa molto di più sono proprio le vacanze uno di quei momenti in cui cimentarsi nella creazione di souvenir digitali da condividere con amici, partner e parenti. Tanto che il 54% ammette di aver scattato ben oltre 50 foto.

Solo una nicchia di veri appassionati opta per gli apparecchi tradizionali 

Insomma, nella scelta del device da portare in viaggio, tra macchina fotografica e smartphone, non ci sono dubbi: vince il cellulare (91%). Solo il 9%, una nicchia di veri appassionati, opta per gli apparecchi tradizionali. Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, però, per l’83% dei partecipanti alla survey, meno del 20% delle fotografie che vengono realizzate è destinata alla pubblicazione sui social. Solo il 17% dichiara che l’80% degli scatti che produce vedrà la luce sui feed o nelle story dei propri profili social.

Panorami e Golden Hour sono i soggetti preferiti

Tra ritratti, selfie, foto di panorami e Golden Hour, i soggetti preferiti sono proprio questi ultimi due (86%). Un semplice trend del momento o la fine di un’era focalizzata sull’individualità? Di certo quest’estate la luna ha offerto colori straordinari, invogliando sempre più utenti a catturarla. Ma si sa, i risultati, con lo smartphone, sono spesso scarsi (55%) e molti degli intervistati preferiscono addirittura rinunciare (45%). Provare invece a immortalare panorami mozzafiato in notturna? Qui il campione si divide equamente a metà. Da un lato c’è chi lo ritiene impossibile, e dall’altro chi, grazie alla Night Mode, come quella presente sull’ultimo Power U10, riesce a portare a casa buoni risultati.

L’album dei ricordi di viaggio è sempre più digitale

Che gli album dei ricordi dei viaggi siano sempre più digitali è ormai noto. Eppure, un buon 32% degli utenti coinvolti preferisce stampare le best pics di ogni vacanza per conservarle e metterle al riparo dai mancati backup. La maggioranza (68%), comunque, sceglie di creare album dedicati sul proprio smartphone. Ed è proprio qui che il 62% degli intervistati conserva i propri ricordi, una scelta favorita rispetto ai servizi cloud. Le memorie dei nostri device ormai custodiscono preziosamente sempre più pezzi delle nostre vite. Allora perché non munirsi di uno smartphone in grado di offrire tanto spazio di archiviazione, come il nuovissimo Power U30 da 128GB? 

Millennial e GenZ: climate change, lavoro e salute i temi per cui combattere

Quali sono i temi che più stanno a cuore alle giovani generazioni di tutto il mondo e degli italiani in particolare?  A questa domanda ha cercato di rispondere,ancora una volta, la decima edizione della Deloitte Global 2021 Millennial and Gen Z Survey, il sondaggio sul “sentiment” di Millennial (nati tra il 1983 e il 1994) e GenZ (nati tra il 1995 e il 2003) in Italia e nel mondo. In questa edizione è stato condotto un sondaggio su oltre 23.000 intervistati in tutto il pianeta (800 in Italia) per rilevare la loro opinione su temi chiave come il lavoro, la società e la loro visione del mondo in generale. Dopo un anno di intensa incertezza a causa della pandemia di Covid-19, ma anche instabilità politica, problemi razziali e gravi eventi climatici, le giovani generazioni sono concentrate sui problemi di tutta la società. E oggi chiedono a leader, politici e aziende di assumersi maggiori responsabilità per guidare i cambiamenti che porteranno a un mondo più equo e sostenibile. Gli intervistati, ogni anno di più, stanno incanalando le loro energie verso azioni significative, aumentando il loro coinvolgimento politico ed effettuando scelte di acquisto e professionali di cui condividono i valori. Soprattutto, queste generazioni si aspettano che istituzioni come imprese e governi facciano di più.

Ambiente, disoccupazione e salute i temi “caldi”

“Ambiente, disoccupazione e salute sono i tre grandi temi che preoccupano i Millennial e la GenZ in Italia. A un anno dall’inizio della pandemia i Millennial italiani sono preoccupati per le prospettive lavorative e finanziarie, mentre cresce l’attivismo della GenZ, che porta con sé una maggiore attenzione per il tema ambientale, ma anche una nuova sensibilità sulle discriminazioni legate al genere, all’etnia e all’orientamento sessuale” precisa il rapporto. 

Sostenibilità ambientale prioritaria per i giovani italiani

La ricerca mette in luce inoltre come i ragazzi italiani, sia GenZ sia Millennial, siano più sensibili della media globale sul tema ambientale ma, allo stesso tempo, siano più scettici sulla probabilità che le persone, dopo la pandemia, si impegneranno ad agire sulle questioni ambientali. A crederci, infatti, è solo il 23% dei Millennial italiani contro il 37% dei Millennial nel mondo e il 31% della GenZ italiana contro il 40% della GenZ nel mondo. Inoltre, il 49% dei Millennial e il 48% della GenZ del nostro Paese pensa che abbiamo già raggiunto il punto di non ritorno ed è troppo tardi per contrastare il cambiamento in corso.

Vacanze, l’Italia divisa a metà fra chi parte e chi no

Saranno poco più della metà della popolazione (precisamente il 54%) gli italiani che faranno o stanno già facendo una vacanza nel 2021, contro un 46% che invece resterà a casa, sia per le preoccupazioni legate al virus sia soprattutto per questioni economiche. A fotografare lo stato di salute del turismo tricolore è un sondaggio realizzato da Demoskopika per la trasmissione Anni 20 Estate in onda su Rai2. Insomma, il meritato periodo di ferie fuori casa è un “miraggio” per quasi 10 milioni di nostri connazionali, circa il 9% in più del numero rilevato rispetto allo scorso mese di maggio.

Perché non si parte

Il 46% degli italiani non partirà per un periodo di vacanza. Ma quali sono le ragioni? Tra i motivi principali emersi dal sondaggio, oltre alla modalità di risposta di chi “ha già rinunciato, al di là del coronavirus” (24%), uno dei principali motivi della mancata partenza è la paura del disagio economico alimentato dall’emergenza pandemica. E così, circa 10 milioni di italiani, pari al 17% del campione, non andranno in vacanza perché non hanno la possibilità economica per farlo mentre appena il 5% ha rinunciato perché, pur volendo, ha ancora timore a viaggiare a causa del Covid-19 e delle sue varianti. Una “preoccupazione economica” degli italiani, ancora più evidente se confrontato con l’orientamento emerso lo scorso mese di maggio. In particolare, il condizionamento del Covid-19 ad andare in vacanza si è ridotto di ben 19 punti percentuali, passando dal 24% della prima rilevazione (maggio 2021) al 5% della seconda rilevazione (luglio 2021). Un cambiamento nei comportamenti di consumo turistico evidenziato anche dall’impennata della percezione di un peggioramento delle condizioni economiche: lo scorso mese di maggio a dichiarare l’impossibilità di programmare una villeggiatura per difficoltà economiche era stato l’8% del campione a fronte del 17% del dato odierno. Le fasce della popolazione che non partiranno sono rappresentate soprattutto da chi ha un basso titolo di studio, operai, persone in là con gli anni. Per quanto riguarda la questione territoriale, i “rinunciatari” abitano prevalentemente nelle regioni del Centro e del Nord ovest.

L’identikit di chi può partire

Dall’altra parte di questa analisi, c’è invece quel 54% di italiani che invece potrà andare in vacanza. Si tratta in prevalenza di persone giovani (il 62%),  residenti nelle Regioni del Mezzogiorno,con un titolo di studio medio-alto e che si trovano in una condizione di lavoro dipendente (dirigenti, quadri, impiegati, etc.) piuttosto che autonomo. In merito alle mete, la preferita resta il mare, scelta dal 58% del campione, seguita poi da “montagna” (15%), dalla vacanza nelle “città d’arte e dei borghi” (10%) e in “campagna e agriturismo” (8%).

Meteo, per metà degli italiani è una vera “ossessione”

Gli italiani sono appassionati di meteorologia: per moltissimi nostri connazionali, infatti, controllare le previsioni è un vero e proprio tic, bel al di là della normale attività quotidiana. Tanto che 2 persone su 3 hanno una sorta di “ossessione” per il tempo. Ma ben il 20% della popolazione verifica lo stato del cielo in più momenti della giornata, mentre per il 96% degli italiani è la norma dare un’occhiata al tempo almeno una volta la settimana. Queste percentuali sono il frutto dell’indagine ”Gli italiani e la meteorologia”, realizzata recentemente da Bva-Doxa su un campione di 1.000 persone tra 18 e 64 anni su tutto il territorio italiano.  Per informarsi in merito alle previsioni, afferma la ricerca, le persone utilizzano in prevalenza le app dedicate, seguite dai siti Internet, dai programmi tv e dalla radio. Entrando nello specifico, il 56% preferisce sapere che tempo farà utilizzando l’app sul proprio smartphone, il 34% usa i siti Internet dedicati (34%), l’8% la Tv e il 2% ascolta le previsioni alla radio. Tra le app e i siti il più utilizzato è iLMeteo.it, che totalizza quasi 5 milioni di utenti medi per giorno e quasi 10 milioni di utenti sulla sua app. 

Prima delle vacanze si controlla il tempo

I nostri connazionali si confermano attentissimi allo stato del meteo soprattutto in vista di weekend, ponti o vacanze: in prossimità della partenza, infatti, lo situazione del tempo viene messa al vaglio. Il 42% del campione controlla sempre le previsioni in queste circostanze e solo il 3% non si preoccupa. E, in tempi di smartworking, il 25% guarda il meteo per scegliere quale giorno lavorare da casa, dato che al Sud e nelle Isole, riporta la ricerca, “è doppio (29%) rispetto al Nordovest con il 14%, forse per il tempo meno soleggiato e l’assenza di mare”.

Argomento di conversazione, ma non solo

Argomento classico per chiacchierare con persone poco conosciute o per rompere il ghiaccio a un primo incontro, il meteo è però una vera ossessione per una parte della popolazione. L’interesse per sole, pioggia o vento può degenerare nei cosiddetti ‘Malati di meteo’. Si tratta di quelle persone che non si muovono mai senza controllare le previsioni. La metà degli italiani ha un amico o conoscente che si può definire in quel modo. C’è poi l’ampio modo della meteoropatia, cioè degli effetti che il tempo ha sull’umore: una condizione che riguarda circa il 60% degli italiani e che genera disturbi come stress, ansia, mal di testa, apatia e sbalzi d’umore. Colpiti sono soprattutto i giovani under 34 e le donne.

I figli influenzano i comportamenti sostenibili delle famiglie italiane

Rispetto a cinque anni fa le famiglie italiane sono più orientate ad adottare comportamenti sostenibili, soprattutto per merito dei figli che influenzano le scelte dei genitori nell’ambito della sostenibilità. Oltre a fare maggior attenzione alla raccolta differenziata (37%) e alla riduzione del consumo di plastica (24%), le famiglie italiane dichiarano di cercare di ottimizzare i consumi di acqua ed energia (19%), di utilizzare i mezzi di trasporto a basso impatto ambientale (9%) e di fare attenzione alla provenienza del cibo acquistato (7%). Sono alcune evidenze della survey condotta da E.ON con Pleiadi e Meteo Expert nell’ambito del progetto Odiamo Gli Sprechi, che ha coinvolto 4.500 alunni di circa 50 scuole primarie e secondarie di primo grado al fine di sensibilizzare le nuove generazioni al rispetto e all’uso consapevole delle risorse naturali.

I bambini e il rispetto dell’ambiente

Un ruolo importante nel favorire l’adozione di uno stile di vita maggiormente rispettoso dell’ambiente è svolto dai bambini in età scolare. Il 40% delle famiglie conferma l’incidenza della formazione e sensibilizzazione dei figli nelle scelte riguardanti sostenibilità e ambiente.

A ruoli invertiti, anche il supporto delle famiglie alla scuola nella formazione agli studenti sulla sostenibilità ambientale è in prevalenza positivo, con due terzi (65%) degli insegnanti di primarie e secondarie di primo grado che lo giudica adeguato. Inoltre, oltre un terzo degli insegnanti coinvolti (33%) si dice a conoscenza di un notevole interesse delle famiglie nei confronti delle attività didattiche incentrate sulla sostenibilità.

Autoproduzione solare, più accessibile dell’e-mobility

Se l’efficienza nella gestione dei rifiuti e la riduzione dell’utilizzo di prodotti in plastica monouso rimangono i comportamenti giudicati più facilmente adottabili nei prossimi anni, l’utilizzo dell’energia elettrica prodotta da un impianto fotovoltaico domestico è ritenuto meno complesso rispetto all’adozione di soluzioni di mobilità elettrica. Su quest’ultima, le risposte sono convergenti nell’individuare gli incentivi come leva per renderla più accessibile. La convinzione della maggiore accessibilità dell’autoproduzione solare rispetto all’e-mobility deriva infatti anche dal lancio del Superbonus, l’agevolazione fiscale per l’efficientamento energetico domestico introdotta dal Decreto Rilancio, riporta Adnkronos.

Lavorare su comunicazione e collaborazione tra scuola e famiglie

Certamente rimane ancora molto da fare, soprattutto in termini di comunicazione e collaborazione tra scuola e famiglie. A livello di informazione, ad esempio, se oltre la metà delle famiglie intervistate dice di informarsi da fonti autorevoli (57%) come siti web istituzionali, media e programmi di divulgazione scientifica, solo il 17% ritiene chiare le informazioni raccolte sulla sostenibilità ambientale e le indicazioni su comportamenti da adottare. Un dato significativo riguarda poi la percentuale di famiglie che si informano tramite le comunicazioni del proprio fornitore di energia (9%) e quelle che lo fanno tramite amici e conoscenti (7%).

L’evoluzione del Podcast nel 2020

Il 2020 è un anno all’insegna anche della crescita per i podcast. I dati della Digital Audio Survey 2020 di Ipsos riportano infatti un aumento di 4 punti percentuali del numero di ascoltatori di podcast nell’ultimo mese, che passano dal 26% al 30% della popolazione tra 16 e 60 anni. I dati 2020 confermano che i podcast riescono a intercettare le fasce più giovani di ascoltatori (52% di under 35), gli studenti (19%), ma anche le persone con livello di istruzione più alto (22% di laureati) e con professioni elevate (10%). Lanciata nel 2019, la Ipsos Digital Audio Survey annualmente rileva ascolto e modalità di fruizione di tutte le forme di Digital Audio, e la 2a edizione dell’indagine osserva l’evoluzione del podcast, che in un anno fuori dall’ordinario ha visto al centro dell’attenzione piattaforme e contenuti digitali.

Una fruizione su smartphone e da casa

Fra le altre evidenze emerse dall’indagine si rafforza la centralità dello smartphone (78% ascolta podcast su smartphone), e mentre gli altri dispositivi come computer, tablet, console arretrano crescono molto gli smart speaker (15%). La fruizione di podcast avviene principalmente in casa (80%,) e in modalità multitasking (77%), ma aumenta la percentuale di chi dichiara di non svolgere altre attività quando ascolta podcast. Forse questo è un segnale incoraggiante della capacità, per il pubblico, di trovare contenuti in grado di coinvolgere pienamente l’attenzione, e quindi un risultato molto importante per il podcast, perché maggiore attenzione si può tradurre in maggiore ricettività rispetto ai messaggi comunicati, editoriali e pubblicitari.

Arriva al 61% la percentuale di chi ascolta il contenuto per l’intera durata

Anche la percentuale di chi ascolta podcast per l’intera durata aumenta rispetto al 2019, e arriva al 61%: l’ascolto del podcast nella sua interezza diventa quindi la modalità largamente prevalente di fruizione. È un dato di grande rilevanza, che si può considerare come una sorta di indicatore sintetico della capacità dell’offerta di soddisfare la domanda. La seconda edizione dell’indagine di Ipsos conferma quindi le potenzialità del format podcast, che vede allargarsi la base utenti e raggiunge sempre più target giovani, e target di istruiti e curiosi.

Un format in piena salute

“La sua natura ‘pull’, di contenuto che l’utente ricerca attivamente sulla base dei propri interessi conferisce al podcast un appeal pubblicitario che viene confermato dai livelli elevati di ricordo dei brand pubblicizzati (69%) – commentano le curatrici dell’indagine Nora Schmitz, Leader Audience Measurement Ipsos, e Claudia d’Ippolito, Senior Researcher in Media Development -. Il podcast sembra quindi un format in piena salute, e gli utenti sembrano familiarizzare in modo organico con i modelli fruitivi che è in grado di attivare. La sfida, per proseguire la crescita, è mantenere la stessa capacità di attrazione e nitidezza di immagine mano a mano che si agganciano utenti nuovi, magari meno autonomi e esplorativi rispetto al core target”.

Settembre, i dati del commercio estero: bene le esportazioni

Più esortazioni, meno importazioni a settembre 2020, con un bilancio positivo del saldo commerciale. Lo rivela l’Istat, che ha analizzato per l’Italia l’interscambio commerciale con i paesi extra Ue27. Nel dettaglio, si registra un sensibile aumento congiunturale per le esportazioni (+8,3%) e una lieve contrazione per le importazioni (-2,7%). L’incremento delle esportazioni, in particolare, coinvolge tutti i raggruppamenti principali di industrie ed è dovuto soprattutto all’aumento delle vendite di beni strumentali (+11,5%) e beni intermedi (+10,6%). Incrementi sì, ma minori (0,2 punti percentuali), delle maggiori vendite di energia (+12,6%). Dal lato dell’import, si rilevano cali congiunturali per quasi tutti i raggruppamenti, i più ampi per beni di consumo durevoli (-12,1%) e beni intermedi (-4,2%); in aumento solo gli acquisti di energia (+4,2%).

Boom nel periodo luglio-settembre

In particolare, dai dati dell’Istituto di Statistica si evince un vero e proprio exploit nel periodo luglio-settembre rispetto al trimestre precedente: l’export segna un aumento del 34,0%, sintesi di forti incrementi diffusi a tutti i raggruppamenti principali di industrie, i più elevati per beni di consumo durevoli (+85,7%), beni strumentali (+47,6%) ed energia (+32,6%). Nello stesso periodo, l’aumento congiunturale dell’import (+17,5%) interessa quasi tutti i raggruppamenti ed è più ampio per beni di consumo durevoli (+66,7%) ed energia (+26,7%). In lieve calo gli acquisti di beni di consumo non durevoli (-2,0%). Su base annua, sempre a settembre 2020, l’export segna una crescita del 3,0%, mentre l’import registra un calo (-12,4%), ma meno rispetto ad agosto, (-16,6% ), dovuto soprattutto alla netta flessione degli acquisti di energia (-46,7%). La stima del saldo commerciale a settembre 2020 è pari a +5.322 milioni (era +2.785 milioni a settembre 2019). Aumenta l’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici (da + 5.931 milioni per settembre 2019 a +7.002 milioni per settembre 2020).

I Paesi destinatari dell’export italiano

Analizzando i mercati, emerge che i Paesi che hanno fatto registrare i maggiori incrementi per il nostro export sono Cina (+33,0%), paesi MERCOSUR (+16,1%), Svizzera (+15,7%), Turchia (+13,8%) e Stati Uniti (+11,1%). In calo le vendite verso paesi OPEC (-14,8%) e paesi ASEAN (-13,3%). A settembre 2020, per l’area extra Ue, al netto del Regno Unito, si stima che l’export aumenti del 10,5% su base mensile e del 3,7% su base annua. L’import registra un lieve calo sul mese (-2,5%) e un’ampia flessione sull’anno (-12,2%). Il saldo commerciale è pari a +3.974 milioni (era +1.524 milioni a settembre 2019).

I trending topic spiegati da Twitter

“Perché questo argomento è di tendenza?” Si tratta di un quesito che l’anno scorso è stato twittato oltre mezzo milione di volte, e a cui Twitter ora ha deciso di rispondere. Come? Attraverso i cinguettii più popolari ed esplicativi.

In pratica il social spiegherà ai suoi utenti i trending topic, ovvero i temi più twittati e contrassegnati da un determinato hashtag. Accanto al trending topic la piattaforma mostrerà perciò un tweet ritenuto idoneo a spiegare l’argomento. A selezionarlo saranno gli algoritmi, ma insieme a un team in carne e ossa.

Oltre a questo, nelle prossime settimane il social aggiungerà ai trending topic alcune brevi descrizioni, scritte da un team di curatori, con informazioni di contesto che spiegano il motivo per cui un argomento è entrato nelle tendenze.

Le tendenze mostrano ciò di cui tutti parlano

“Le tendenze mostrano ciò di cui tutti parlano in questo momento. Ma troppo spesso, guardiamo una parola o una frase di tendenza su Twitter e chiediamo: ‘perché è di tendenza?’ – si legge nel comunicato rilasciato da Twitter -. In Twitter, abbiamo lavorato per fornire alle persone più contesto su ciò che sta accadendo con etichette su Tweet e account, nonché pagine curate (note anche come Momenti) e articoli correlati sulle tendenze. Per aiutarti – spiega il social – stiamo aggiungendo Tweet appuntati e descrizioni sulle tendenze per spiegare perché qualcosa è di tendenza”.

Valutare se il Tweet riflette molto la tendenza ed è popolare

“A volte il Tweet giusto può aiutare a dare un senso a una tendenza – continua il comunicato del social -. Una combinazione di algoritmi e il nostro team di curatori determinano se un Tweet rappresenta una tendenza, valutando se il Tweet riflette molto la tendenza ed è popolare. I nostri algoritmi sono progettati per identificare i Tweet rappresentativi che non sono potenzialmente offensivi, spam o pubblicati da account che cercano di trarre vantaggio dal nostro sistema. I tweet rappresentativi sulle tendenze possono essere trovati su Twitter per iOS e Android. Stiamo lavorando per portarli presto anche su twitter.com”.

“Dobbiamo migliorare le tendenze e lo faremo”

Nelle prossime settimane saranno disponibili anche brevi descrizioni per contribuire ad aggiungere contesto al trend topic.

“Le descrizioni sono sviluppate dal nostro team di curatori e seguono le loro linee guida”, sottolinea la piattaforma. Inizialmente Tweet rappresentativi e descrizioni sulle tendenze saranno disponibili in Argentina, Australia, Brasile, Canada, Colombia, Egitto, Francia, India, Irlanda, Giappone, Messico, Nuova Zelanda, Arabia Saudita, Spagna, Regno Unito, Emirati Arabi Uniti e Usa.

“Possiamo fare di più per aiutare le persone a capire perché qualcosa è di tendenza e per fornire trasparenza sulle tendenze stesse – si legge ancora nel comunicato -. Dobbiamo migliorare le tendenze e lo faremo”.

Pmi italiane a rischio default: sono l’anello debole della pandemia

Il Fondo monetario internazionale lancia l’allarme: le piccole e medie imprese restano l’anello debole della pandemia, perché spesso non riescono ad accedere ai finanziamenti per poter continuare l’attività, e rischiano quindi di fallire.

La pandemia da coronavirus è entrata in una nuova fase, il Covid-19 continua a diffondersi, anche se a velocità diverse nei vari Paesi. E in questo quadro sono le piccole imprese a rischiare di non farcela. Soprattutto quelle italiane.

Spesso infatti non hanno accesso ai finanziamenti e non possono facilmente ottenere prestiti per mantenere l’attività. E per loro il rischio di fallimento e default resta molto alto.

Senza un sostegno adeguato i fallimenti delle piccole imprese potrebbero triplicare

Questo è l’allarme lanciato dal Fondo monetario internazionale nella nota di sorveglianza messa a punto per il G20 dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali. E la nota evidenzia come potrebbe essere proprio l’Italia il Paese più colpito su questo fronte, riporta Agi.

“La nostra analisi su un campione di 17 Paesi – si legge nel dossier del Fmi – suggerisce che i fallimenti delle Pmi potrebbero triplicare”. Senza un adeguato sostegno politico la percentuale di Pmi in default potrebbe infatti passare da una media del 4% prima della pandemia al 12% nel corso del 2020.

I settori dei servizi sono i più colpiti

“L’aumento maggiore – si legge ancora nella nota del Fmi – si verificherebbe in Italia, a causa al forte calo della domanda aggregata e dell’elevata quota di produzione nelle industrie ad alta intensità di contatto. I settori dei servizi sono i più colpiti, con i tassi medi di fallimento nel Paese che aumentano di oltre 20 punti percentuali nei servizi amministrativi, nell’arte, nell’intrattenimento e tempo libero e nell’istruzione, mentre le attività essenziali, come l’agricoltura, l’acqua e i rifiuti, registrano solo piccoli aumenti nei tassi di fallimento”.

Fallimenti diffusi potrebbero causare instabilità finanziaria

A quanto si legge ancora nella nota dell’istituto di Washington, poi, oltre un terzo delle piccole imprese di Paesi come Canada, Corea, Regno Unito e Stati Uniti è preoccupato della propria redditività, o prevede di chiudere definitivamente entro il prossimo anno. Secondo gli esperti del Fondo “I diffusi fallimenti potrebbero pesare sulla ripresa economica, a causa degli ingenti costi di riallocazione del lavoro e del capitale, e causare instabilità finanziaria”.

La domanda chiave è quindi: come dovrebbero rispondere i politici per evitare che la difficoltà delle Pmi si rifletta sull’economia globale?