La Manovra pesa sulle imprese per 4,9 miliardi di euro

Lo afferma l’Ufficio studi della Cgia: nel 2019 la manovra di Bilancio costerà al sistema imprenditoriale italiano 4,9 miliardi di euro. Di questi 3,1 graveranno sulle imprese non finanziarie, e 1,8 miliardi sugli istituti di credito e sulle assicurazioni. Questo, nonostante i correttivi approvati dalla Camera dei Deputati, che rispetto al testo uscito da Palazzo Chigi ha diminuito l’aggravio sulle imprese di 1,3 miliardi di euro dai 6,2 miliardi previsti.

“Uno sforzo importante, ma non ancora sufficiente – spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi -. Le aspettative degli imprenditori, in particolar modo in materia fiscale, sono state ampiamente disattese. Senza contare che con la rimozione del blocco delle tasse locali prevista in manovra c’è il pericolo che dal 2019 torni ad aumentare il peso dei tributi locali”.

Nel 2020 il sistema economico subirà una riduzione di prelievo pari a 1,7 miliardi

Nel 2019 il prelievo sulle imprese private è destinato ad aumentare di 3,1 miliardi, e sugli istituti bancari e quelli assicurativi di 1,8 miliardi. Le cose andranno meglio negli anni successivi: nel 2020 il sistema economico subirà una riduzione di prelievo pari a 1,7 miliardi e nel 2021 l’alleggerimento fiscale salirà a 2,2 miliardi.

Fra le misure introdotte dalla legge di Bilancio è stata inserita anche “l’annunciata, ma non ancora approvata, riduzione del premio Inail – ricorda la Cgia -. Non sono stati conteggiati, invece, gli effetti delle misure introdotte definitivamente con il decreto semplificazione”, misure che comunque dovrebbero agevolare le imprese per un importo di circa 70 milioni di euro annui.

Inoltre, puntualizza l’associazione di Mestre, “è stato sterilizzato l’aumento dell’Iva per un importo di 12,6 miliardi di euro”. Se ciò non fosse avvenuto l’incremento delle aliquote probabilmente avrebbe contribuito alla diminuzione dei consumi, condizionando negativamente i ricavi.

Il pericolo di un eventuale aumento della tassazione locale.

Avendo rimosso il blocco delle aliquote dei tributi locali introdotto nel 2015 è molto probabile che molti sindaci torneranno a innalzarle. Secondo alcune stime, riporta Adnkronos, degli 8.000 Comuni presenti in Italia l’81% ha i margini per aumentare l’Imu sulle seconde case e addirittura l’85% per innalzare l’addizionale Irpef.

Pertanto “è evidente – prosegue la Cgia – che molti sindaci, a fronte dei tagli ai trasferimenti avvenuti in questi anni, se avranno la possibilità non si lasceranno certamente sfuggire l’occasione di mettere mano alle entrate, agendo sulla leva fiscale. Speriamo che in sede di discussione al Senato questa ipotesi sia ‘congelata’, così come accaduto negli ultimi tre anni”.

Lavoratori in malattia: il settore privato supera il pubblico

Qualcosa è cambiato: nel rapporto fra pubblico e privato il secondo supera il primo per numero di lavoratori in malattia. Secondo quanto riporta l’Osservatorio dell’Inps, nel terzo trimestre del 2018 sembra che i lavoratori in malattia siano in aumento nel settore privato e in diminuzione in quello pubblico. I primi infatti segnano un +6,8%, contro il calo del -3,1% dei secondi.

Anche a livello territoriale si rileva una sorta di inversione di tendenza: l’aumento del numero di certificati nel settore privato è prevalente al Sud (+7,9%), mentre nel settore pubblico la diminuzione risulta più consistente al Nord (-5,5%).

A dicembre 2017 oltre 13,5 milioni di lavoratori ammalati

Più in particolare, nel mese di dicembre 2017 il numero di lavoratori dipendenti interessati al controllo d’ufficio dello stato di malattia da parte dell’Inps è stato di 13,7 milioni, di cui 2,8 nel settore pubblico e 10,9 nel settore privato.

All’aumento del numero dei certificati nel settore privato corrisponde però una crescita meno che proporzionale del numero dei giorni di malattia (+4,9%), mentre nel settore pubblico alla diminuzione del numero dei certificati si osserva un decremento più che proporzionale dei giorni di malattia (-7,3%).

Il numero medio di giornate di malattia è stabile in entrambi i settori

Il numero medio dei certificati dei lavoratori, sia nel settore pubblico sia in quello privato, rimane invece stabile, ed è rispettivamente di 3 e 2 certificati ogni 10 lavoratori. L’Inps precisa che qualsiasi confronto sul numero di certificati tra il settore pubblico e privato va sempre interpretato tenendo conto della diversa struttura per età dei lavoratori e della diversa normativa di riferimento. Il numero medio di giornate di malattia per lavoratore con almeno un giorno di malattia rimane stabile per il settore privato, ed è pari a 11,6 giorni, mentre scende lievemente per il settore pubblico, da 11,5 a 11,3 giorni.

Visite mediche di controllo: 129 mila nel privato e 84 mila nel pubblico

Sempre nel terzo trimestre 2018, per quanto riguarda l’attività di verifica dello stato di malattia, in termini relativi il numero di visite è risultato pari a 119 ogni mille certificati per il settore pubblico del Polo unico rispetto alle 52 visite del settore privato. Questo, riferisce Adnkronos, nonostante la notevole differenza in termini assoluti del numero di visite mediche di controllo effettuate, pari a 129 mila nel settore privato e 84 mila di quello pubblico.

Nel settore pubblico la maggior parte delle visite sono effettuate su richiesta dei datori di lavoro, e solo il 20% sono disposte d’ufficio. Nel settore privato il 65% delle visite mediche di controllo sono invece disposte d’ufficio.

Imprese italiane, che difficile trovare figure professionali!

In un mercato del lavoro che appare fortunatamente più dinamico rispetto ai mesi passati, sembra invece difficile far incontrare con successo domanda e offerta di impiego. L’indicazione è il frutto dei dati emersi dai programmi occupazionali delle imprese dell’industria e dei servizi, monitorate dal Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.

Ottobre, assunzioni in crescita

Durante il mese di ottobre, in base ai dati registrati, sono aumentate le imprese che programmano assunzioni. Non solo: sono in numero crescente anche i contratti offerti. In contemporanea, però, aumenta pure la difficoltà di far incontrare domanda e offerta di lavoro, che tocca il suo massimo dallo scorso anno. Come a dire, “l’incastro” perfetto ancora non c’è.

Più difficile trovare le giuste figure professionali al Nord

Il rapporto, come scrive Askanews, evidenzia che su circa 370mila contratti di lavoro da stipulare entro fine mese (31mila in più rispetto a un anno fa), il 29% presenterà difficoltà di reperimento (era il 25% a ottobre 2017). A livello territoriale, però, si registrano delle differenze davvero notevoli: si passa da un massimo intorno al 42% di difficoltà riferite alle province di Pordenone, Lecco, Ferrara e Bologna a valori decisamente più contenuti (intorno al 15%) a Brindisi, Benevento, Taranto e Ragusa.

Tecnici e operai specializzati, dove siete?

In questo scenario ci sono delle figure professionali chiaramente più difficili da reperire. Lo dicono i numeri. Tra i profili più difficili da trovare si contano i tecnici in campo ingegneristico (61,2%), quali ad esempio tecnici addetti alla programmazione di macchine a controllo numerico e tecnici per la gestione, manutenzione ed uso di robot industriali; gli operai specializzati nella lavorazione dei metalli (58%), tra cui fonditori, saldatori, fabbri; gli addetti a macchinari dell’industria tessile (50,3%); gli ingegneri (49,8%); gli operai di macchine automatiche (49,7%); gli elettromeccanici (47%), come ad esempio installatori, montatori, manutentori di macchinari per impianti industriali, di apparecchiature elettriche, elettroniche, informatiche.

Le imprese cercano personale qualificato

La domanda di lavoro espressa dalle imprese in questo mese si caratterizza anche per una ricerca più accentuata di personale ad alta qualificazione: rispetto a ottobre 2017, aumenta di 1,3 punti percentuali la quota di contratti che verranno offerti ai Dirigenti e alle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione e di 0,7 punti percentuali quella destinata alle professioni tecniche. La maggior domanda fa innalzare anche la difficoltà di reperimento che, per le professioni tecniche, raggiunge addirittura il 35,7% delle entrate programmate.

Wi-Fi a rischio attacco hacker. Scoperte nuove vulnerabilità

Non solo i pc e gli smartphone, ora anche la stessa connessione a Internet è a rischio di attacchi informatici. Anche il Wi-Fi, quindi, entra nel mirino degli hacker: il CERT (Computer Emergency Response Team) ha reso noti alcuni dettagli relativi a nuove tecniche di attacco, che sfruttano vulnerabilità all’interno di varie implementazioni di tecnologie wireless 802.11.

Si tratta di una famiglia di vulnerabilità già nota con l’alias KRACK (Key Reinstallation Attack). KRACK era infatti stata scoperta nell’ottobre del 2017 dai ricercatori sulla sicurezza dell’Università di Leuven, in Belgio.

Debolezze nelle fasi di handshake dei protocolli di rete wireless

Secondo quanto identificato dagli autori della ricerca, attraverso questo sistema un attaccante che si trovi nel raggio di azione di un dispositivo Wi-Fi può sfruttarne debolezze. Soprattutto nelle fasi di handshake (l’iniziale scambio di segnali tra computer volto a stabilire i parametri della trasmissione) dei protocolli di rete wireless WPA2, FILS (Fast Initial Link Setup), e TPK (Tunneled direct-link setup PeerKey), per riuscire a intercettare o alterare il traffico della vittima.

Al momento le vulnerabilità non sono state sfruttate all’interno di campagne di attacco

I ricercatori dell’Università di Leuven, riporta Adnkronos, hanno così effettuato verifiche su varie patch di sicurezza (in inglese pezza, toppa: porzione di software progettata per aggiornare o migliorare un programma) per chi era finito nel mirino delle vulnerabilità KRACK del 2017.

“Per implementazioni specifiche in dispositivi Apple, Android, Linksys, Sitecom, TP-Link e Asus è stata riscontrata la persistenza delle problematiche relative alla re-installazione di chiavi crittografiche”, fanno sapere gli esperti del CERT, aggiungendo che “le vulnerabilità non sono al momento state sfruttate all’interno di campagne di attacco”. Ma come difendersi?

“Verificare la disponibilità di aggiornamenti firmware e applicarli al più presto”

Tuttavia, sottolinea il CERT, “vista la disponibilità di strumenti volti a replicare le problematiche di dettagli tecnici e di possibili lacune nelle patch precedentemente rilasciate, si suggerisce di verificare la disponibilità di aggiornamenti firmware (una sequenza di istruzioni integrate direttamente in un componente elettronico programmato) per i dispositivi potenzialmente vulnerabili, e di applicarli al più presto”.

Un articolo dettagliato su tale sistema di attacchi e vulnerabilità, intanto, è stato presentato nel corso della conferenza Computer and Communications Security (CCS) di Toronto, il 15 e 16 ottobre.

Da Google l’app che trova la somiglianza fra i selfie e le opere d’arte

Un’app che cerca la somiglianza tra un nostro selfie e un ritratto, magari con la Venere del Botticelli, oppure con l’autoritratto di Van Gogh. Di fatto Art Selfie, il nuovo strumento messo a disposizione da Google, è stata già lanciata a gennaio negli Stati Uniti, ma ora arriva in tutto il mondo, Italia compresa. Si tratta di un’applicazione realizzata con Google Arts & Culture, lo spazio online del famoso motore di ricerca, che permette agli utenti di esplorare le opere d’arte, i manufatti e molto altro ancora contenuti negli oltre 1.500 musei, archivi e organizzazioni di tutto il mondo che hanno lavorato con Google per portare online le loro collezioni e le loro storie, riferisce Ansa.

Sono più 78 milioni gli art Art Selfie realizzati

“Insieme ai nostri musei partner cerchiamo costantemente nuovi modi per consentire alle persone di interagire con l’arte e scoprirne aspetti inediti – spiega Michelle Luo, Product Manager, Google Arts & Culture -. Con lo stesso spirito, Art Selfie comparirà come opzione in Google Lens, ovviamente quando si sarà di fronte a un’opera d’arte”.

L’app permette quindi di trovare il nostro sosia artistico tra decine di migliaia di opere d’arte provenienti dalle collezioni dei musei partner della società di Mountain View, ed è disponibile per iOS e Android. A oggi l’app di Google Arts & Culture ha già realizzato più di 78 milioni di Art Selfie. “Grazie alla collaborazione con le nostre istituzioni partner – continua Luo – abbiamo più che raddoppiato il numero di opere disponibili in modo che possiate essere abbinati a decine di migliaia di ritratti”.

Scoprire di assomigliare al ritratto dell’Imperatore Gojong o a quello di Frida Kahlo

I risultati possono essere sorprendenti, come l’esempio di una donna di St Louis, negli Stati Uniti, il cui selfie è stato abbinato a un ritratto della sua bisnonna, Emma. Ma “potreste scoprire di assomigliare al ritratto dell’Imperatore Gojong o a quello di Frida Kahlo”, continua Michelle Luo. Ma non è tutto, perché il selfie stesso diventa una vera e propria “porta” per entrare nel mondo dell’arte: se si clicca sul nostro selfie infatti si possono scoprire tutte le informazioni su un determinato artista.

Una tecnologia di visione artificiale basata sul machine learning

L’app si basa su una tecnologia di visione artificiale incentrata sul machine learning. Ma come funziona Art Selfie? Il meccanismo è molto semplice: quando ci scattiamo un selfie la nostra foto viene confrontata con i volti delle opere d’arte presenti su Google Arts & Culture, e in pochi attimi si possono vedere i risultati confrontati in base a una percentuale che stima la somiglianza visiva di ogni abbinamento con il nostro viso.

“La prossima volta che utilizzate Lens con le opere d’arte – consiglia quindi Michelle Luo – è quello di tenere d’occhio Art Selfie come opzione in Google Lens su Android”.

Design e comfort: hai già provato le calzature Bruno Bordese?

Qualità dei materiali, tecniche di lavorazione all’avanguardia, design e comfort assoluto: ecco il mix vincente che ha reso le calzature Bruno Bordese oggetto del desiderio per tantissime persone che desiderano vestire sempre con eleganza e affidare al tempo stesso i propri piedi a delle scarpe che possano avvolgerli e accoglierli in un ambiente confortevole, che abbia proprio il loro benessere come obiettivo primario. Dalle calzature per uomo a quelle per donna, Bruno Bordese presenta ottime soluzioni sia per il tempo libero che per il lavoro, così come per gli appuntamenti più importanti o gli impegni di ogni giorno, senza mai rinunciare alla ricercatezza e allo stile. Proprio lo stile è uno dei capisaldi di tutte le collezioni di questo prestigioso marchio, grazie alle sue linee accattivanti e moderne che rendono ogni calzatura l’accessorio ideale per completare qualsiasi tipo di outfit in maniera appropriata.

Rimanere al passo con i tempi è infatti un must per Roberto Bordese, ed egli stesso non ha fatto mistero di attingere tantissimo alla street-art e al modo di vivere delle nuove generazioni per trarre l’ispirazione necessaria alla creazione di nuove linee e nuovi prodotti. Alla stessa maniera, anche i viaggi hanno un ruolo determinante nell’influenzare l’estro di questo talentuoso stilista, che è in grado di cogliere l’ispirazione giusta anche in tutte quelle piccole cose che è possibile trovare nei botteghini dell’antiquariato. Tale creatività e ricercatezza dei particolari è tangibilmente visibile osservando da vicino una qualsiasi calzatura Bruno Bordese, mentre è sufficiente calzarla per qualche minuto per rendersi anche conto che l’estetica e la bellezza non hanno in alcun modo compromesso la comodità di tali calzature, che al contrario sono in grado di accogliere il piede e garantirgli tutta la comodità di cui ha bisogno anche se le si indossano per più ore al giorno.

Cravatta si o no? Senza è meglio: lo dice la scienza

La cravatta, un classico dell’abbigliamento maschile da ufficio, non da tutti amato. Anzi. A spezzare una lancia a favore degli insofferenti al nodo al collo arriva nientemeno che la scienza. Secondo un nuovo studio condotto in Germana la cravatta infatti potrebbe comprimere vasi sanguigni fondamentali per l’afflusso di sangue al cervello, con prevedibili effetti negativi sul funzionamento cognitivo. Quindi, sulle prestazioni lavorative. Insomma, la cravatta da simbolo di eleganza maschile per antonomasia potrebbe addirittura essere additata come “freno” alla produttività aziendale. Ma è proprio così?

Una ricerca con 30 volontari

Per rispondere al quesito, è stato condotto uno studio ad hoc. Si tratta di una piccola ricerca condotta in Germania da Robin Lüddecke dell’University Hospital Schleswig-Holstein, pubblicata su Neuroradiology, e in seguito rimbalzata online su diverse testate internazionali, dal Daily Mail a New Scientist.

Per condurre la ricerca sono stati arruolati 30 giovani volontari divisi in due gruppi: metà di loro ha indossato la cravatta durante un esame di risonanza magnetica, annodandola con un nodo full Windsor, che prevede una svolta in più rispetto a quello semplice. L’altra metà dei volontari invece non ha indossato la cravatta.

Con la cravatta arriva meno sangue al cervello?

Un flusso regolare e costante di sangue al cervello è fondamentale per fare in modo che i neuroni possano continuare a trasmettere i loro messaggi rendendo possibile la risposta istantanea a un problema. E il risultato della ricerca ha rilevato un calo statisticamente significativo del flusso sanguigno cerebrale tra gli uomini con la cravatta. In particolare, una diminuzione del 7,5%, che non innescherebbe sintomi evidenti, ma potrebbe essere sufficiente a influire sulle performance cognitive.

Imitare il look casual dei big della Silicon Valley

I risultati dello studio potrebbero quindi portare a guardare con occhi diversi il look di molti big della Silicon Valley, da molti considerato eccessivamente casual. Come ad esempio la popolare divisa del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, che in “ufficio” indossa una semplice maglietta grigia. Oppure il dolcevita nero d’ordinanza del compianto fondatore di Apple Steve Jobs. Per non parlare dei giovani fondatori di start up di successo, che hanno fatto dell’abbigliamento casual il loro marchio di fabbrica. Se loro hanno sempre detto di no a ciò che gli autori della ricerca hanno definito uno “strangolamento socialmente desiderabile”, perché non imitarli? Che sia proprio l’outfit indossato uno dei segreti della loro creatività?

App cattiva: non salva la batteria, ma ruba i dati

Della serie non si può mai stare tranquilli. Questa volta sotto la lente è un’App che, nelle parole, dovrebbe salvare la durata della batteria, ma in realtà è un malware.

Alert per i dispositivi Android

L’alert riguarda i dispositivi Android. L’App malevola, individuata dai ricercatori di RiskIQ, si chiama Advanced Battery Saver (nome pacchetto: com.advancedbatr.batsaver) che – avvisano gli esperti del Cert – Computer Emergency Response Team – “si presenta come uno strumento per il risparmio energetico e il controllo della batteria del telefono ma, oltre a svolgere la funzionalità per la quale appare essere progettata, nasconde anche un adware in grado di sottrarre informazioni dal dispositivo”.

Come agisce la App

Con questa applicazione, l’utente viene rediretto sulla pagina da cui scaricare l’App da “pagine web truffaldine che mostrano un falso avviso che informa la vittima che il suo dispositivo si sta rallentando e che la batteria si sta consumando rapidamente”, scrive AdnKronos. Avviso che invita a “scaricare un’App ‘raccomandata’ per ripulire la memoria del telefono e renderlo più veloce”.
A questo punto l’utente, se clicca su un tasto qualunque, “viene reindirizzato su un altro server controllato dagli autori del malware che a sua volta lo porta sulla pagina dello store di Google da cui scaricare l’App malevola”. L’App “richiede diverse autorizzazioni, non direttamente correlate alla sua funzione primaria, che dovrebbero mettere in allarme un utente consapevole”. Se si danno le autorizzazioni, l’App diventa pericolosa e può leggere dati di log; ricevere messaggi di testo (SMS); ricevere dati da Internet; accoppiarsi con dispositivi bluetooth; accedere alla rete senza limitazioni; modificare le impostazioni del sistema.

La false promesse

Anche se la App dovrebbe aumentare la durata della batteria, i ricercatori avvisano che questa “sfortunatamente nasconde anche una funzionalità di adware, costituita da una backdoor finalizzata alla generazione di clic fraudolenti su annunci pubblicitari che generano profitto per l’autore del malware. Inoltre, la porzione malevola del codice dell’App è in grado di sottrarre informazioni dal dispositivo, tra cui il codice IMEI, i numeri di telefono memorizzati, il tipo, la marca e il modello dell’apparato, la posizione geografica”. Questo malware “”comunica con un server C&C codificato al suo interno mediante HTTP. Il contenuto delle comunicazioni viene cifrato mediante l’algoritmo AES con una chiave predefinita. Il malware riceve dal server remoto le informazioni sugli annunci pubblicitari da caricare e invia l’esito dell’operazione una volta completata l’azione di clic”. Al momento, “l’App ‘Advanced Battery Saver’ risulta ancora presente su Google Play ed è disponibile in forma di APK su svariati repository di terze parti”.

Benessere, il vero lusso. Che tutti vogliono (anche in rete)

Tutti lo vogliono, tutti lo cercano. E così è diventato un bene di lusso. Non è un’auto costosa o una borsa di di un brand esclusivo, ma un modo di essere, una condizione. È il benessere, concetto che fonde corpo e anima e che secondo uno studio di Truth Central, la divisione di ricerca dell’agenzia creativa McCANN Worldgroup, è diventato comune solo nel 2012, ma rappresenta oggi una vera filosofia di vita. E proprio al vivere bene è dedicata la riflessione di Ipg Warehouse, piattaforma che si occupa di temi sociali e attualità, che indaga le trasformazioni di questo trend mondiale a partire dalle ricerche svolte da Truth Central nel 2012 e nel 2015.

Emozioni sempre più importanti

Rispetto ai dati raccolti nel 2012, la “ricetta del benessere” targata  2015 attribuisce un’importanza nettamente superiore alla sfera privata e agli stati d’animo. Nella prima ricerca, infatti, le emozioni contavano al 18%, percentuale salita al 25% nel 2015. Nello stesso lasso di tempo, l’importanza attribuita alla salute fisica è scesa dal 29% al 20%, anche se in modo non uniforme. Negli Stati Uniti, Regno Unito e Canada, infatti, il corpo rimane al primo posto nella valutazione della felicità, mentre Sud Africa, Cina e Hong Kong lo mettono in seconda posizione.

Nella visione più emotiva ed umana del benessere, contano di più la famiglia (è passata dal 5% nel 2012 al 12% nel 2015) e la possibilità di avere tempo libero e da dedicare agli amici. E il benessere sempre di più diventa un concetto soggettivo e completamente personale, in cui rientrano le esperienze passate, il raggiungimento degli obiettivi prefissati e la dimensione affettiva nella vita quotidiana.

Una trasformazione portata dalla tecnologia

Tra smartphone e chiamate intercontinentali gratuite, la tecnologia ha reso più difficile separare lavoro e vita privata. E il buon equilibrio tra queste due componenti, insieme alla cura di sé, è diventato un forte elemento di benessere, da raggiungere con corsi di yoga, diete detox e spesa bio. Un insieme di attività non propriamente economiche… E infatti i dati evidenziano come l’1% più ricco della popolazione mondiale possieda più benessere di quello del restante 99%. Come dire, per il benessere le emozioni contano, ma anche i soldi.

Anche la salute è online

Per rispondere alla domande di benessere sono nate piattaforme e dispositivi tecnologici che ci aiutano a meditare, ci seguono nello sport, controllano perfino la nostra salute mentale. Il 50% delle persone intervistate ha dichiarato di cercare online i sintomi prima di andare da un medico, mentre il processo contrario è seguito dal 48% delle persone. Ed ecco che anche l’ecosistema della salute, nell’era del benessere, viene rivoluzionato: i dottori hanno un ruolo sempre più marginale (tanto che 1/5 degli intervistati e 1/3 dei giovani crede che la tecnologia eliminerà il bisogno dei dottori) e ben il 20% crede alle informazioni di salute/benessere trovate e lette sui social network e sui profili degli influencer. Per questo Google ha iniziato una collaborazione con i medici di Harvard e della Mayo Clinic per fornire risposte più corrette alle domande che gli utenti pongono al web

Italiani single, stipendio quasi dimezzato dalle tasse

Lavoratori single italiani tra i più tartassati dal Fisco: lo dice l’OCSE nel rapporto ‘Taxing Wages 2017’. Nel nostro Paese, infatti, il cuneo fiscale per una lavoratore single è del 47,7%: percentuale che colloca l’Italia al terzo posto  tra i Paesi dell’area Ocse, dietro al Belgio (53,7%) e alla Germania (49,6%). La classifica stilata dall’organizzazione segnala che la media per i lavoratori single è di un carico – fra tasse e i contributi sociali su lavoratore e datore di lavoro – al 35,9%. Sia per il nostro Paese che per l’intera area Ocse il dato 2017 è in calo marginale (0,1 punti) rispetto all’anno precedente.

Tasse più leggere per chi ha famiglia

Nel caso di un lavoratore con un nucleo familiare di 4 persone, riporta AdKronos, il cuneo fiscale per l’Italia scende al 38,64% (praticamente gli stessi valori dell’anno precedente). Tuttavia, resta alto il distacco dagli altri paesi: 12 punti la distanza con la media Ocse del 26,1%. L’Italia peraltro è nel novero dei 10 paesi in cui i contributi di previdenza sociale superano il 20%. I più alti sono in Francia con il 26%.

Riforma fiscale, prioritaria per Unimpresa

In Italia c’è quindi bisogno “di una riforma fiscale seria volta alla riduzione delle tasse sulle imprese e pure sulle famiglie. L’Italia è ampiamente sopra la media globale per quanto riguarda il cuneo fiscale e il gap è un fattore di competitività assai penalizzante per il nostro Paese” afferma il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci, commentando i dati Ocse. “La crescita economica ha bisogno di un impulso fortissimo che potrebbe arrivare proprio dall’abbattimento del peso dei tributi sul costo del lavoro. Ci sarebbero benefici diretti sia sui costi aziendali, che calerebbero, sia sulle buste paga dei lavoratori, che aumenterebbero immediatamente. Tutto questo con effetti positivi sul prodotto interno lordo, grazie soprattutto alla potenziale crescita degli investimenti e all’incremento dei consumi delle famiglie”.

Lo stesso vale per i consumatori

“I dati confermano che urge una riforma fiscale per aumentare la busta paga netta che i lavoratori effettivamente incassano” dice Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Inoltre, in questi anni di crisi, è mancata una politica dei redditi e la concertazione tra imprenditori e sindacati non ha funzionato. Non ci sono stati i rinnovi contrattuali, a cominciare dal pubblico impiego e questo ha dissanguato i lavoratori, impoverendoli. Anche se ora i rinnovi stanno arrivando, è di tutta evidenza che vanno cambiate le regole troppe discrezionali che governano l’adeguamento degli stipendi al costo della vita. Serve il ripristino della scala mobile all’inflazione programmata”. Conclude il presidente dell’Unc: “Altrimenti  se gli stipendi e le pensioni restano al palo, mentre le tariffe ed il costo della vita salgono, i consumi della famiglie non potranno mai decollare”.